Roberto Saviano: «Così le bande dei sardi assaltano i furgoni portavalori»
Lo scrittore napoletano in questi giorni al Massimo di Cagliari: «Parlare di criminalità organizzata non significa parlare male di una terra. La mia, la nostra, la vostra»Roberto Saviano oggi e domani al Teatro Massimo di Cagliari (foto di Giovanni Daniotti)
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«Parlare di criminalità organizzata non significa parlare male di una terra. La mia, la nostra, la vostra».
Roberto Saviano buongiorno. E bentornato in Sardegna. Impossibile non cominciare questa intervista partendo dall’analisi che, pochi mesi fa, tratteggiò sulle pagine del nostro quotidiano. Quali sono gli elementi specifici che le hanno fatto identificare una pista sarda in assalti come quello avvenuto sull’Aurelia a marzo scorso, distinguendola da altre forme di criminalità organizzata?
«Gli assalti ai portavalori sono colpi organizzati con una strategia ben precisa, un investimento temporale ed economico importante e un piano costruito in mesi e mesi di informazioni raccolte. Due sono i gruppi in Italia che assaltano portavalori, e qui non significa voler diffamare una regione o una città, perché è soprattutto una questione di know how, di expertise. Non ci si improvvisa assalitori di portavalori da un giorno all’altro. In Italia i grandi gruppi che assaltano portavalori sono sardi e foggiani, in particolare cerignolani. E nel caso dell’assalto avvenuto sull’Aurelia, a consentire di individuare la provenienza degli assalitori è stato un video dal cui audio era chiaramente distinguibile l’accento sardo».
Le tecniche usate, ragiono sulle armi da guerra e sugli esplosivi, possono essere collegate al vecchio banditismo sardo o ha trovato elementi di novità?
«In teoria, l’approccio è del tutto simile. Innanzitutto lo scopo: anche per i sequestri, i banditi si riunivano per quell’unico colpo, per quel singolo sequestro e poi subito il gruppo si scioglieva. C’erano individualità che potevamo successivamente ritrovarsi per un nuovo progetto criminale, ma era raro e soprattutto era determinato da rapporti personali. Culturalmente il criminale mette a punto un assalto, così come faceva per i sequestri, per emanciparsi dal lavoro dipendente, raramente per accedere al lusso e altrettanto raramente per diventare parte di una organizzazione criminale in pianta stabile».
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