"Esiste una parte articolata della società che esprime ansia e inquietudine nei confronti della presenza straniera in Italia, un'area di pensiero molto ampia che ci guardiamo bene dal definire razzismo". Luigi Manconi, sociologo e parlamentare sardo, affronta il tema dei flussi migratori in Italia e del nostro rapporto con "l'altro". Un rapporto che - dice - "va inquadrato come xenofobia, quell'avversione generica per ciò che è straniero. Umori comprensibili che riguardano tutti noi, perché legati alla storia dell'umanità. E che se non analizzati e affrontati dalla buona e lungimirante politica è facile possano trasformarsi in razzismo".

I concetti sono espressi anche nel suo recente saggio, "Non sono razzista, ma. La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura" (Feltrinelli) scritto con Federica Resta, che presenterà domani a Sassari e Fonni, per proseguire a Serdiana fino al Teatro Electra di Iglesias, domenica prossima.

Perché finora non abbiamo corso il rischio di diventare razzisti?

"Perché il tabù del razzismo ancorché eroso e sottoposto a usura resiste tutt'ora, perché in Italia le culture democratico-liberale, socialista-comunista e di impronta cattolico-sociale hanno continuato nel tempo a diffondere rispetto per i principi di uguaglianza. E quelle categorie universali hanno resistito a lungo. Poi le cose sono cambiate, la crisi economica ha fatto sì che tra gli strati più vulnerabili della società italiana si sia fatta dipendere la propria insicurezza da un 'nemico' straniero".

Nel libro si sostiene che ad alimentare questi "umori" contribuiscono comportamenti fino a ieri censurati che hanno trovato spazio nel discorso pubblico e nella sfera politica...

"L'insicurezza degli strati più deboli che vivono faticosamente il rapporto con gli stranieri è stata ignorata dalla buona politica e coltivata invece dalla cattiva politica, che ne ha fatto moneta elettorale e l'ha proiettata sulla sfera pubblica".

E il ruolo dei media?

"Tendo a non esaltarlo troppo, non ne facciamo sempre il capro espiatorio, è fin troppo facile prendersela con i media. Oggi esistono giornali che fanno titoli ripugnanti e riprovevoli, ma il senso comune è una cosa più complicata e tendo a dargli un grandissimo peso".

Anche quando i media calcano la mano su casi di cronaca, vedi Rimini?

"A Rimini è successo che i giornali hanno messo in scena le fantasie mascolino-razzistiche dell'uomo bianco, quella spazzatura della pornografia sessista e gerarchico-etnica che fa parte di un rimosso proprio dell'uomo occidentale. Cerco di rovesciare i nostri luoghi comuni: la questione che gli aggressori fossero di colore e la vittima una donna bianca va oltre la dimensione dello stupro, laddove la figura dell'immigrato incontra le fantasie, i desideri e le proiezioni del nostro inconscio. Ma questo mica è colpa di 'Libero', piuttosto della natura umana".

L'allerta terroristica, la crisi economica e l'aumento della criminalità: quanto pesano nel fomentare la paura del diverso?

"Tutti i fattori pesano, ma secondo me quello che conta di più è la crisi economica, non meno, però, di certi stereotipi. Ad esempio, ho appena presentato una ricerca sull'immagine dell'ebreo nella società italiana e il pregiudizio è tutt'ora diffuso in percentuale notevole. La crescita di un pregiudizio islamofobico non ha certo attenuato quello antisemita, come a dire che ci sono dei pregiudizi che persistono e si rafforzano tra di loro".

Nell'affrontare il tema dell'immigrazione c’è differenza tra l’Italia e Paesi europei che per ragioni storiche hanno sperimentato prima il fenomeno?

"Ho sostenuto decine di volte che l'Italia ha commesso l'errore di non fare della propria storia un'epopea, mi riferisco soprattutto alla grande storia dell'emigrazione".

E questo ci tornerebbe utile?

"Non sarebbe risolutivo, ma sì, sarebbe utile. Faccio l'esempio della tragedia di Marcinelle, su cui esiste 'soltanto' un libro di Paolo Di Stefano, una canzone, un documentario e nulla più".

Luigi Manconi
Luigi Manconi
Luigi Manconi

Nel libro si punta il dito contro gli "imprenditori politici della paura": chi sono?

"Sono quelli che mentre gli altri sottovalutavano il rischio di diffusione di sentimenti razzisti, sono intervenuti con la cattiva politica e li hanno cavalcati a proprio vantaggio".

Tra le sue proposte concrete per una buona politica c'è quella di una redistribuzione territoriale più equilibrata dei migranti.

"Sta diventando il mio cavallo di battaglia, ne parlo ormai ovunque vada. È il tema del Progetto SPRAR - 'Programma nazionale asilo', primo sistema pubblico per l'accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, diffuso su tutto il territorio italiano, con il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali, secondo una condivisione di responsabilità tra Ministero dell'Interno ed enti locali - che oggi vede una distribuzione di migranti e richiedenti asilo su 1300 comuni italiani, contro un totale di 7982. La mia tesi è che una redistribuzione più capillare disinnescherebbe conflitti e scontri tra comunità locali e stranieri: se abbiamo un peso di 100 kg da portare e anziché distribuirlo tra 1300 portatori lo dividiamo per 7982, ogni portatore avrebbe meno peso".

C'è poi il tema dello Ius Soli.

"Proprio in questi giorni ho scritto una lettera sollecitando Gentiloni a rispondere sul perché non chieda la fiducia, insomma si era aperto uno spiraglio e ci voleva una determinazione politica maggiore, si è lasciato passare troppo tempo e adesso si arriva con l'acqua alla gola alla data finale".

Venendo alla Sardegna che proprio in questi giorni è meta continua di sbarchi, come sta affrontando a suo parere la questione dei migranti?

"Tra il 1989 e il 2015 ho condotto una ricerca sugli atti di violenza contro gli stranieri nelle varie regioni d'Italia e in tutti gli anni emergeva che la Sardegna era la regione con meno atti violenti, o comunque tra le due o tre con meno episodi. Un indicatore non assoluto, ma sicuramente significativo e ritengo che se ripetessi l'indagine oggi avrei risultati non troppo diversi. Dico questo perché mentre si sono verificati atti di vero e proprio terrorismo contro gli stranieri non è cambiato l'aspetto relazionale, non c'è stata una crescita della violenza nei rapporti quotidiani, anche se c'è sicuramente lo sviluppo di una situazione di sofferenza, di angoscia e inquietudine che continuo a non definire razzismo. È il segno di una difficoltà drammatica e oggettiva, un grido d'aiuto al mondo della politica e al mondo intellettuale, che dice 'aiutateci a non diventare razzisti'".

Pesa l’apertura di canali di dialogo con i paesi di provenienza dei migranti?

"I rapporti con i paesi d'origine restano un fattore cruciale anche nella gestione del tema migratorio ed è positivo che si stiano aprendo nuovi fronti".

Anche se poi alcuni paesi, vedi la Turchia, possono "sfruttare" a proprio vantaggio questi rapporti...

"Questo è certo, è il gioco delle parti".

A proposito di giochi: ci sono sviluppi sul caso Regeni?

"Non ce ne sono, e quelli di cui si è parlato erano sviluppi inventati che si sono rivelati tali e hanno solo agevolato la scelta di inviare al Cairo l'ambasciatore italiano. Una scelta politica che ho ritenuto sbagliata".

Con i genitori di Regeni in Senato
Con i genitori di Regeni in Senato
Con i genitori di Regeni in Senato

IL LIBRO DI LUIGI MANCONI E FEDERICA RESTA

La copertina del libro di Manconi e Resta
La copertina del libro di Manconi e Resta
La copertina del libro di Manconi e Resta

Barbara Miccolupi
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