Ha sconfitto il virus dopo due mesi di inferno: Antonello Secci, 68 anni, di Villaspeciosa, dirigente di ufficio postale in pensione ed ex presidente regionale Wwf, ieri ha ricevuto l'esito negativo del doppio tampone che accerta la sua guarigione dal Covid-19. Secci era risultato positivo il 20 aprile, dopo le dimissioni dal reparto di Medicina interna del Policlinico di Monserrato. Qui rimase ricoverato dal 3 al 10 aprile e fu sottoposto a un primo tampone, risultato negativo. Condivideva la stanza con un 89enne di Uras: «È l'anziano stroncato dal Covid-19 il 28 aprile dopo il trasferimento al San Francesco di Nuoro».

È sicuro sia lui?

«Ci sono troppe analogie: provenienza, età, anche lui contagiato al Policlinico. Nessuno ne parla, ritengo giusto metterci la faccia a nome di chi non ha voce: pazienti, medici e infermieri».

Lei perché era stato ricoverato?

«Avevo dolori toracici, sono cardiopatico. Ma non volevo andare in ospedale per paura dei contagi. Mi hanno convinto i miei figli».

E una volta arrivato lì?

«Mi hanno misurato la temperatura, nessun tampone. Mi sono meravigliato: sarei potuto essere asintomatico».

È certo di aver contratto il virus in ospedale?

«Da più di un mese ero in quarantena volontaria con mia moglie. Dopo tre giorni in ospedale ho accusato attacchi di diarrea e una congiuntivite. Da altre stanze sentivo lamenti, tossi terribili, c'era chi non riusciva a respirare. La mattina dell'8 aprile il trambusto di medici che parlavano in maniera concitata. Poco dopo un infermiere mi ha riferito di un paziente contagiato trasferito al Santissima Trinità. Ero terrorizzato».

E poi?

«Siamo stati sottoposti al tampone: medici e infermieri erano bardati. Prima di quel giorno indossavano solo la mascherina».

Il suo tampone diede esito negativo: dimesso.

«Ho ritenuto il rientro a casa frutto della mano di Dio: dimesso il Venerdì Santo. Stavo bene. La positività si manifesta successivamente, come accertato per me il 20 aprile: nei giorni precedenti accusavo forti nausee e non sentivo sapori e odori. Sintomi poi scomparsi nella prima settimana di isolamento».

Ha temuto il peggio?

«Sì. Mi ritengo fortunato. Molti sono morti, compreso chi come me è debilitato da altre patologie».

Come è stato vivere due mesi in isolamento?

«Molto duro. Il nemico invisibile non voleva andarsene: tamponi negativi, poi positivi, ancora negativi e così via. Dieci esami in tutto, ma nessun test sierologico: mi è stato detto che non era necessario. Mia moglie, disabile, è stata ospitata da mia figlia Sara: separati da un grande giardino, potevo vederle a distanza. Prima di farla rientrare a casa aspetterò almeno due settimane. Ho avuto il conforto "virtuale" degli altri miei due figli, Alessandro e Gabriele, e degli amici più cari. Mi è dispiaciuto non festeggiare il primo compleanno della figlia di Alessandro e penso a Gabriele, poliziotto in Lombardia».

Si sta sottovalutando il virus?

«Molti non si sono ancora resi conto della pericolosità del virus. Pensare di essere giovani con scarse possibilità di contagio fa dimenticare che nelle proprie case vivono genitori e nonni. Sarebbe terribile se la pandemia riprendesse vigore per la stupidità di tanti incoscienti».

Lorenzo Ena

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