Più che irritato, è appena infastidito. Salvatore Palitta, presidente del Consorzio del pecorino romano, guarda con distacco ai produttori laziali che chiedono la cancellazione della Dop (Denominazione di origine protetta) assegnata da Bruxelles nel 1992. "È l'ennesimo tentativo che non li porterà da nessuna parte - dice - sanno bene che, se vogliono, possono aggiungere la dicitura "proveniente dal Lazio", è previsto nel disciplinare. Attenendosi alle regole del Consorzio, chiaro, altrimenti si mettono fuori".

PRODUZIONI - Sembra una battaglia molto di campanile e poco di sostanza. Basterebbe ricordare che il più importante caseificio romano, la "Brunelli spa", acquistava il latte in Sardegna per poi trasformarlo nell'azienda laziale. Attualmente, l'Isola produce la quasi totalità del pecorino, lasciando alle altre aree del Consorzio (il Lazio e il Grossetano) il 3 per cento, quasi una quota di sopravvivenza.

LA BATTAGLIA - "Credo sia semplicemente un'operazione mediatica. Per ora, quello che sappiamo lo abbiamo letto sulle pagine de "Il Messaggero", la richiesta di Giuseppe Capuani, titolare di "I Buonatavola Sini", azienda del Viterbese, non la conosciamo. Penso che sia stata avanzata la richiesta di riconoscere la Dop per la sola produzione laziale, annullando di fatto quella esistente. Non credo sia diversa da quelle presentate ciclicamente al Ministero e regolarmente bocciate. Non ci resta che attendere". Preoccupato? "Nemmeno un po' - risponde Palitta - non c'è motivo. L'annullamento della Dop per il pecorino romano è qualcosa di impossibile".

COLDIRETTI - Il tema non appassiona Battista Cualbu, presidente regionale di Coldiretti. Che non fa niente per dissimularlo: "Sono stupito per questa attenzione sull'argomento. Personalmente avrei apprezzato, quando era il momento, molto di più un intervento contro l'arrivo di formaggi prodotti altrove e poi spacciati come sardi. Non ho mai sentito nessuno, dal Consorzio e dalla Regione, pronunciare due parole in difesa degli allevatori".

La stoccata: "Si dovrebbero preoccupare di vendere meglio il loro formaggio, di far rispettare le produzioni e di non ingolfare il mercato facendo crollare il prezzo e pagando poco il latte".

LA REGIONE - Per il Consorzio arriva, invece, il sostegno della Regione. "Tre mesi fa - ricorda Pierluigi Caria, assessore all'Agricoltura - ci siamo costituiti in giudizio al Tar del Lazio per tutelare la Dop. Era il minimo che potessimo fare e continueremo sulla stessa linea, anche perché, che ci risulti, i produttori laziali non hanno alcuna intenzione di arrendersi nonostante il tribunale amministrativo abbia dato ragione al Consorzio. I laziali, alla fine è un solo grosso produttore che però gode dell'appoggio di politica e sindacato, hanno annunciato che si rivolgeranno a Bruxelles per provare a cancellare la Denominazione di origine protetta che oggi rappresenta il Consorzio del pecorino romano. Sappiano che ci saremo anche noi".

RIFLESSIONI - L'ex assessore regionale Paolo Maninchedda osserva dal suo blog: "Bisogna seguire il ragionamento dei laziali (sostenuti dalla Regione Lazio e dalle Coldiretti romana e sarda). Vogliono l'abolizione di un formaggio a marchio per poter forse fare formaggi non a marchio, cioè quelli più remunerativi? Vogliono forse rinunciare a una Dop che vale un mercato di 200 milioni di euro? No. Il loro intento è semplice: affermare la necessità di perimetrare l'area di produzione di un prodotto sulla base dell'aderenza del luogo al nome. Questo ha un grande valore politico se la politica intende occuparsi di produzione della ricchezza e non solo di distribuzione assistenziale della ricchezza. Il problema è intendersi su ciò che è compito della politica".

Vito Fiori

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