Non si cammina, si affonda. Le impronte sono calchi di polvere cosmica come quelle di Neil Armstrong, questa volta nel suolo lunare del Montiferru. Qui si è ridotto tutto in cenere, tra le cime di San Leonardo e Cuglieri, non è un modo di dire. Il meteorite di fuoco vivo che ha percorso ventimila ettari di boschi e scintillante macchia mediterranea è corso veloce, da un fronte all’altro, oltrepassando strade e dislivelli, rincorrendo il vento, in ogni sua direzione. Fiamme alte come fusti di leccio, protese ad arrampicarsi sempre più in alto in un cielo di fuoco. Eppure, oggi, ad un mese dalla fine di quella devastante alluvione di magma incandescente, quasi fosse resuscitato il vulcano del Montiferru, si percepisce un altro devastante rogo, quello della terra, arsa viva sino a trasformarsi in polvere lunare. Non ha preso fuoco solo l’imponente giacimento arboreo dell’intera zona, non solo lecci e corbezzoli, querce e lentischi.

Brace viva

E’ la terra che si è fatta brace viva, capace di rompere per sempre la “tessitura” di quel terreno fertile, riducendo quell’amalgama terrestre in una polvere finissima, artefatta dalle temperature perenni che per giorni hanno viaggiato invisibili sotto terra. Ora che il disastro è compiuto, è tempo della conta dei danni. Ci sono quelli contabilizzabili con tanto di rendiconto amministrativo, seppur elusi da istituzioni in perenne ritardo anche sul fronte dei risarcimenti, e quelli che emergono dirompenti. Sono i danni ciclopici, quelli che non dispongono di colonne sufficienti per monetizzare l’apocalisse naturale che si è compiuta in quella terra di acqua Fuentes e ridente vegetazione. E’, il tema del danno permanente, quello più rilevante di questa tragedia ambientale che si è consumata tra ritardi e disorganizzazione, tra voli carpiati di pale rotanti e discese d’angelo di aerei gialli ad ala fissa.

Bruciato l’ombrello

Il silenzio ora è un sibilo grigio, in un paesaggio nero. Quei versanti scoscesi, denudati da ogni verde, sono ora fragili come non mai. La trama del terreno è andata a farsi benedire. Le scarpate rivolte a valle hanno svuotato i muri in pietra de “su connottu”. Il freno naturale di quell’amalgama chimico-fisica dei terreni si è divelto con il passare delle fiamme. Non è rimasto niente. Se traguardi l’orizzonte, da valle ti rendi conto che i margini di sicurezza sono flebili o inesistenti. Se la pioggia futura non scenderà lenta e misurata, flebile e contenuta, il pericolo può essere ancora più grave dello stesso incendio. Il rischio che scava le esili certezze di un ambiente ormai fragile è proprio quello idrogeologico. Devastato l’ombrello di piante ad alto fusto e rasa al suolo la macchia mediterranea che evitava il contatto diretto tra le precipitazioni metereologiche e il terreno, il rischio incombe preannunciato. Ventimila ettari scoscesi e arrampicati, senza alcuna protezione meteorica, rischiano di trascinare a valle una quantità immane di detriti e fango, polvere e massi. Un tema, quello del rischio idrogeologico, che non ammette ulteriori distrazioni, a partire dall’analisi puntuale del nuovo pericolo e delle necessarie immediate precauzioni.

Miracolo Montiferru

A stupire, però, ancora una volta, è la forza innata della natura capace di una reazione senza timori. In quel cammino di cenere che solca il proscenio nero del Montiferru la ribellione della vita appare come il contrasto più evidente a tanta devastazione. In quell’antracite intensa, degno colore del peggior carbone, si stagliano quei germogli verdi di vita che segnano, a distanza di un mese, il riscatto più fertile della natura verso la mano criminale dell’uomo.

Leccio e corbezzolo

I polloni di leccio e corbezzolo, circondati dalla vivace resilienza della felce aquilina, segnano il trapasso tra il disastro e la nuova vita del Montiferru. Certo, non si può ignorare ed eludere cotanta devastazione, ma è altrettanto vero che quei germogli sono l’emblema di una rinascita possibile. Un’occasione irripetibile per traguardare un nuovo orizzonte che possa strutturalmente e strategicamente mettere al riparo la natura nel suo complesso da eventi devastanti come quelli del luglio scorso. Serve, dunque, ripensare il giusto equilibrio tra l’uomo e l’ambiente, rendendo entrambi protagonisti, capaci di proteggersi l’un l’altro. E non è un caso che Michele Puxeddu, Accademico e Corrispondente sardo dell’ Accademia Italiana di Scienze Forestali abbia messo nero su bianco un’analisi tanto spietata quanto ragionata: «Nella lotta agli incendi occorre prendere atto che il consistente ridimensionamento dell’attività agricola ed il conseguente abbandono delle aree rurali, le ridotte attività economiche legate alle produzioni del bosco, stanno purtroppo limitando fortemente le motivazioni stesse per la tutela ed il recupero ambientale delle aree forestali percorse da incendi sia a cura degli attori sociali che da parte degli enti locali interessati».

Lo scenario apocalittico dopo l'incendio del Montiferru (L'Unione Sarda)
Lo scenario apocalittico dopo l'incendio del Montiferru (L'Unione Sarda)
Lo scenario apocalittico dopo l'incendio del Montiferru (L'Unione Sarda)

L’appello della scienza

Un tema, quello della vivibilità economica e sociale delle aree forestali, che costituisce oggi più che mai una nuova opportunità di sviluppo sulla quale il confronto deve essere serrato. E sono proprio gli uomini di scienza a suggerire di dismettere pratiche talebane nel governo del territorio per aprire una nuova stagione che veda l’uomo protagonista dell’ambiente. L’analisi dettagliata arriva dalla sezione sarda della Società Botanica Italiana che con documento articolato ha lanciato un vero manifesto per il post incendio: «Numerosi studi dimostrano che una copertura forestale continua e omogenea, sebbene ideale nell’immaginario collettivo, non è, invece, funzionale alla prevenzione degli incendi, alla conservazione della biodiversità, alle produzioni agro-zootecniche e alla erogazione dei servizi ecosistemici che i boschi ci forniscono (gratuitamente)». La prospettiva, i botanici sardi, la sintetizzano in maniera efficace e puntuale: «Bisogna puntare su sistemi forestali a mosaico, in cui aree di bosco naturale si alternano a boschi pascolati o soggetti ad utilizzazioni selvicolturali, pascoli arborati, garighe (cespugli) di piante officinali, radure, pascoli montani, aree coltivate, oliveti e vigneti, possibilmente tenendo conto dell’orografia, della viabilità, delle risorse idriche e del rischio di propagazione del fuoco, sono molto più efficaci nella difesa contro gli incendi, permettono di produrre più reddito (perché all’allevamento e alla silvicoltura tradizionali è possibile associare altre produzioni come frutti di bosco, funghi e tartufi, miele, piante officinali), sono più attrattivi a livello turistico, e più efficienti nel contrastare il dissesto idrogeologico (un aspetto da tenere in alta considerazione soprattutto nel prossimo autunno quando riprenderanno le piogge) o nello stoccaggio dell’anidride carbonica».

Piano Marshall

Visione strategica ma anche indicazioni precise per la redazione di un piano d’emergenza per il post incendio. «Dai dati scientifici a disposizione – sostiene Michele Puxeddu - scaturisce l’esigenza di concentrarsi sulla valorizzazione della riproduzione vegetativa (strategia sprouter) ovvero sulla protezione dei ricacci naturali da radici o ceppaie nel caso delle latifoglie (soprattutto per quanto riguarda i boschi di leccio) e sulla valorizzazione della riproduzione da seme». Un’indicazione precisa che non può essere lasciata al caso, ma che necessità di un vero e proprio Piano Marshall per la forestazione del Montiferru e non solo. Un’analisi che coincide con quella dei botanici sardi: «Una parte degli alberi e arbusti autoctoni del Montiferru è ancora vitale a livello di apparati radicali, e nelle prossime settimane reagirà al passaggio del fuoco producendo nuovi getti (polloni) che diventeranno i pionieri della ricolonizzazione da parte della vegetazione della montagna».

La ricrescita della felce aquilina (L'Unione Sarda)
La ricrescita della felce aquilina (L'Unione Sarda)
La ricrescita della felce aquilina (L'Unione Sarda)

Rinascita forestale

Con l’indicazione tecnica il monito strategico: «Auspichiamo e suggeriamo che l’impegno principale di denaro pubblico sia indirizzato per favorire questo naturale processo ecologico, mediante interventi che contemplino il taglio delle parti ormai non più vitali, operazioni di successione sulle ceppaie, interventi selvicolturali di cura del bosco e la messa a dimora di postime autoctone ove lo stesso non sarà risultato resiliente. La Sardegna non ha solo bisogno di nuovi alberi, ma anche di oliveti, vigneti, campi coltivati e soprattutto di prevenzione e di corrette politiche di pianificazione del territorio e di gestione forestale». Serve, dunque, un piano di rinascita strategico forestale, per il contingente e per il futuro. Serve l’acqua e un piano di laghetti collinari, funzionali all’irrigazione in aree impervie e, all’occorrenza, fonte emergenziale per sostituire le bagnarole dell’antincendio con un approvvigionamento idrico adeguato. Quel suolo lunare deve essere il monito, quei germogli verdi e rigogliosi sono la speranza di riscatto del Montiferru.

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