Sono passati quasi tre anni da quel 23 luglio 2021, quando nel Montiferru si scatenò l’inferno. E anche se oggi la natura, pian piano, si sta riprendendo i suoi spazi, un nuovo studio rivela gli effetti ritardati sulle foreste colpite dal fuoco. Il meccanismo sotto i riflettori è stato battezzato “mortalità ritardata”, caratterizzato dalla moria degli alberi sopravvissuti. Tradotto: l’incubo non è ancora stato archiviato.

Lo rivela una ricerca condotta da un team di Enea (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) e del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università di Cagliari, che ha approfondito le indagini iniziate nel 2022 sulla risposta della vegetazione naturale un anno dopo l’incendio. Questa volta il team si è concentrato sulle zone forestali ai margini delle aree colpite, dove le precedenti indagini avevano indicato un possibile declino della vegetazione.

I risultati hanno confermato le precedenti osservazioni, dimostrando che in prossimità dei margini delle aree incendiate subentra, nei mesi e negli anni successivi all’incendio, la “mortalità ritardata”. Nel mirino i boschi che l’incendio aveva colpito in maniera meno severa, che ora risultano essere i più interessati dal fenomeno.

Per Ivo Rossetti (ENEA) «in prossimità dei margini dell’incendio la severità del fuoco è, in genere, bassa o moderata, di conseguenza gli alberi hanno maggiori opportunità di sopravvivere, seppur danneggiati. Tuttavia, i danni subiti possono innescare processi di decadimento, come necrosi dei tessuti e compromissione del trasporto della linfa. L’albero può sopravvivere, ma possono anche subentrare altri fattori, come la competizione con alberi vicini, la siccità o l’aggressione di patogeni, che possono portare alla “morte ritardata” della pianta. Il fenomeno della mortalità ritardata può perdurare anche per alcuni anni dopo l’incendio». 

Lo studio ha integrato i dati satellitari con indagini sul campo svolte su 176 aree di rilevamento distribuite su tutte le tipologie forestali coinvolte. Sono state verificate cinque diverse ipotesi per escludere altre possibili cause di declino della vegetazione e confermare che il fenomeno osservato fosse effettivamente legato alla mortalità ritardata degli alberi.

«L’osservazione di lungo termine sull’incendio del 2021 – aggiunge Giseppe Fenu (Unica) – sta evidenziando come gli effetti di un evento estremo siano molto complessi, diluiti nel tempo e, spesso, poco vistosi. In questo contesto, la valutazione sulla ripresa della vegetazione forestale è solo una parte di un puzzle complesso fatto di relazioni e processi ecologici che si attivano dopo un grande incendio e che si sviluppano in maniera spesso imprevedibile. Il fenomeno della “mortalità ritardata”, che si realizza ai margini delle aree incendiate, è un aspetto poco conosciuto e studiato sia nell’area del Mediterraneo sia a livello globale, nonostante le implicazioni nella pianificazione degli interventi post incendio e delle azioni di conservazione del patrimonio naturalistico».

Ma dallo studio emergono anche segnali positivi: i processi naturali di recupero della vegetazione stanno avvenendo anche nelle aree colpite da mortalità ritardata. Inoltre, è stato possibile rilevare la ripresa di specie di particolare valore conservazionistico, come il tasso e l’agrifoglio, che non erano state rilevate nello studio del 2022.

(Unioneonline/v.f.)

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