"L'affermazione della responsabilità di Graziano Mesina è stata fondata, in modo logico e coerente, su un solido quadro indiziario", scrive la Cassazione nelle motivazioni - depositate oggi - della sentenza con la quale lo scorso due luglio ha confermato la condanna a 30 anni di reclusione per traffico di stupefacenti nei confronti del 78enne bandito sardo, latitante proprio in seguito a questa ennesimo verdetto che lo avrebbe rinchiuso in carcere, dove è già stato per 40 anni, per il resto della sua vita.

Tuttavia, l'accusa di possesso di armi non sussiste, rilevano gli "ermellini", dando ragione alla difesa di Mesina - ricercato da giorni con ampio dispiego di uomini e mezzi a partire dai casolari delle campagne della sua Orgosolo - in quanto la contestazione è "dovuta a un mero refuso".

Per quanto riguarda i "numerosi elementi probatori" evidenziati dai giudici della Corte di Appello di Cagliari nel verdetto emesso il 22 maggio 2018, la Suprema Corte ricorda che si "tratta dell'uso da parte di Mesina di utenze riservate esclusivamente ai contatti" con i suoi complici, di "incontri e trasferte non altrimenti giustificati" se non dal traffico di droga, e poi c'è "l'uso di linguaggio criptico", ad esempio il termine "cagnolino", "la sequenza di contatti e movimenti registrati nei periodi oggetto di osservazione", "i compensi che Mesina soleva erogare ai suoi accoliti", e infine "i numerosi reati programmati di cui si è trovato riscontro tramite intercettazione e tramite la documentazione rinvenuta in una valigetta chiusa rinvenuta a casa di Mesina durante una perquisizione domiciliare".

La compravendita di droga - soprattutto eroina e marijuana - da trafficanti calabresi sarebbe avvenuta tra il dicembre 2008 e l'ottobre 2009 e l'indagine della Dda di Cagliari ha avuto una durata di oltre 12 anni, con l'utilizzo di intercettazioni provenienti da un altro procedimento penale, cosa che la difesa di Mesina non ha mancato di contestare per l'assenza di garanzie e tutele per l'imputato, anche se invano.

Per la Cassazione, è del tutto "plausibile l'interpretazione attribuita alle conversazioni intercettate e l'identificazione di Mesina come il soggetto, nominato nella conversazione del 12 maggio 2009 tra altri due complici, che prenderà tutta la biada, intesa, in modo non illogico, come sostanza stupefacente".

Mesina ha sempre sostenuto di non aver mai avuto a che fare con il commercio di droga e di essere stato condannato "da innocente" in questo procedimento nel quale, come si legge nel verdetto 23700 depositato dalla Quarta sezione penale della Cassazione, non emergono prove schiaccianti ma "interpretazioni" di conversazioni ed "elementi probatori". Mesina per questa vicenda è stato arrestato il dieci giugno 2013 e, per decorrenza termini, è stato scarcerato nel giugno del 2019. Aveva ricevuto la grazia nel 2004. E' ricercato dal due luglio, dopo essersi dileguato dalla casa della sorella a Orgosolo.

(Unioneonline/F)
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