Ci risiamo. La Sardegna muore di sete ma butta l'acqua in mare. Abbiamo dedicato due pagine, ieri, al caso Maccheronis, diga già svuotata, a Torpè, nel 2016.

Contro il rischio-esondazione (Cleopatra, 2013), la Regione ha un piano personalizzato per l'invaso della Baronia. A febbraio non può contenere - sulla carta - più di 15 milioni di metri cubi, che diventano 20,4 a marzo e, udite udite, 24,9 tra aprile e settembre. Grazie a un po' di pioggia, in questi giorni ci siamo avvicinati al limite. In nome della legge, gettiamo via l'eccedenza.

Due anni fa, ad agosto, rimase una pozzanghera. Ma al burocrate non gliene frega nulla dell'albergatore di Siniscola o dell'ortolano di Orosei. Nel chiedere conto al presidente Pigliaru, il consigliere regionale Daniela Forma - senza scomodare il buonsenso - ha saggiamente citato il monitoraggio sulla siccità. Aspettando la risposta, l'acqua va in mare.

Con i sindaci, grida allo scandalo il Consorzio di bonifica, che però non si assume la responsabilità (penale) di chiudere la paratia, contro la volontà del padrone dell'acqua.

Sull'Unione abbiamo spiegato che con 60 mila euro, il costo delle centraline di rilevamento delle piogge, si metterebbe fine alla vergogna.

C'è il tanto per un'inchiesta non solo giornalistica. È stata la Regione a ristorare anche nei campi della Baronia i recenti danni da siccità. Paghiamo sempre noi. Sino a quando?
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