Notte di Saccargia, dalla veglia alla rivolta: una catena umana per fermare l’assalto eolico
I comitati di Pratobello davanti alla basilica di Codrongianos, mobilitazione dopo il silenzio-assenso della Regione allo sfregio dei petrolieri del ventoVideo di Alessandra Carta
Il cielo è cupo sul sagrato di Saccargia. Il campanile cesellato di calcare bianco e basalto nero si inerpica sulla notte come ultimo raggio di luce sul proscenio del Logudoro. Quando i lumini della veglia dominano il buio pesto, il silenzio ha cominciato a far vibrare anche gli animi più riottosi. Silenzio vero, autentico, quello disarma e al contempo anima la ribellione di un popolo ferito, il Popolo di Saccargia. È "silenzio-dissenso" quello che scala le ripide e tormentate vie di uno dei monumenti più altezzosi e ribelli dell'Isola dei Nuraghi. Tutt'altro che quel "silenzio-assenso" che dall'altra parte dell'Isola, nel gelido palazzo di viale Trento, sede della più "draghiana" delle Regioni, ha spalancato le porte del nord dell'Isola ai petrolieri del vento. Quando le note di «No photo reposare», affidate al magistrale Coro di Ozieri, accarezzano la navata d'ingresso della Basilica, i canti di ribellione si fanno preghiera. Sono giunti sin qui dall'altro capo dell'Isola, quasi senza preavviso.
In marcia
Si sono messi in marcia dal Goceano alla Gallura, dal Campidano al Sarcidano, dalle pendici del Monte Arcosu a quelle del Monte Linas. Nessuno glielo aveva chiesto, eppure quando il tramonto aveva da un pezzo salutato le colline di Nulvi e Ploaghe, le pendici già brulicavano di abbaglianti e luci di posizione. Non per protestare, non per inondare di cori da stadio le nefaste scelte dei Palazzi di Roma o di Cagliari. Semplicemente per pregare. Per invocare protezione, quella che i poteri terreni stanno negando alla terra di Sardegna. C'è il Popolo di Saccargia, c'è quello di Pratobello, ci sono i comitati e le bandiere del Popolo Sardo, ci sono i cantori della tradizione più antica. C'è soprattutto silenzio. Quello della riflessione e della rabbia, quello del coraggio e della ribellione. Silenzio doveva essere, silenzio è stato. Le uniche parole che si conficcano nel cervello sono quelle di Francesco, il Papa dell'Enciclica del Creato. Riecheggiano come tamburi, nella semplicità di concetti chiari e profondi. Stilettate morali, rivolte a chi consuma i beni del Creato per foraggiare i propri guadagni, i propri affari, capaci di calpestare il bene comune a vantaggio di quello di pochi. La voce è quella di Maria Antonietta Pirrigheddu. Lei non legge, incarna. "Francesco" detta e le sue parole diventano palline di un flipper dentro il cervello ammutolito. Quasi pensando a Saccargia, sul sagrato riecheggia il Santo Padre: «Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l'attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull'ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi». E aggiunge: «Molti diranno che non sono consapevoli di compiere azioni immorali, perché la distrazione costante ci toglie il coraggio di accorgerci della realtà di un mondo limitato e finito». E conclude: «qualunque cosa che sia fragile, come l'ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta».
La voce di Francesco
Le parole di questa notte di veglia su questo sagrato che si voleva vietare sono le sue, quelle di un Papa venuto da lontano, ribelle contro i poteri delle armi e della finanza, nemico giurato di chi attenta il Creato. Si stringono per mano le donne e gli uomini giunti sin qui per abbracciare la Basilica, divenuta simbolo di quel sacrilegio che Stato e Regione vogliono imporre ad ogni costo, calpestando storia e archeologia, paesaggi e natura, per affermare gli affari di quei petrolieri che ora, in terra di Sardegna, vogliono "scalare" il montepremi degli incentivi miliardari del vento.
Da Woodstock alla veglia
In questo proscenio le donne e gli uomini di Saccargia c'erano già stati. Era il 15 giugno scorso: una Woodstock di protesta, pacifica e canora, contro i signori del vento che volevano sfregiare per sempre la terra dei Nuraghi. Un luogo non a caso, quello della Basilica. Da anni una società petrolifera, la Edoardo Raffinerie Garrone, trasformatasi di colpo in società green, si è messa in testa di buttar giù i vecchi, modesti, ma brutti, tralicci eolici, alti 50 metri, costruiti agli inizi degli anni duemila quando i comuni, quelli di Nulvi e Ploaghe in quel caso, autorizzavano i parchi eolici con le concessioni edilizie. Ora, al posto di quelle "palette", i signori del vento petrolifero vogliono conficcare sul terreno fondazioni in cemento armato da 26 metri di profondità e 21 di diametro, con pale monoblocco da 180 metri d'altezza, quasi quattro volte quelle esistenti, da demolire entro il 2029. Hanno fatto il diavolo a quattro per portare gli affari dai 38 megawatt conquistati 21 anni fa ai 121 di oggi. Per dirla con Papa Francesco: «una ricerca della rendita finanziaria che ignora ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull'ambiente». Quei guadagni milionari che i signori della Erg pensano di conquistare al cospetto del sagrato di Saccargia, devastando il proscenio di oltre cinquanta siti nuragici, altro non sono che "rendita finanziaria" da consumare sulla testa della Sardegna e dei sardi. Quelle 27 torri, alte come grattacieli da sessanta piani, alla fine dei conti trasformeranno quella terra ricca di storia e cristianità in una zona industriale, in una becera e greve speculazione finanziaria. Avevano voglia di "pregare" il loro "silenzio-dissenso", le donne e gli uomini di Pratobello. E lo hanno fatto, ancora una volta con innata forza d'animo e speranza mai smarrita. Un "silenzio-dissenso" contro quel «silenzio-assenso» che, invece, la Regione sarda ha colpevolmente consumato dal 15 aprile al 14 giugno del 2024. Responsabilità grave, perché quel «silenzio-assenso» ha spalancato le porte di Saccargia ad una devastazione che resterà scolpita per sempre su quel sagrato. Non lo ha stabilito un oppositore incallito, ma un Tribunale nel pieno della sua autorità. Il Tar Sardegna non è stato tenero: la sentenza del 25 novembre scorso «annulla il provvedimento (tardivo e inutile n.d.r.) del 27 settembre del 2024 e dichiara l'intervenuta formazione del silenzio assenso sull'istanza di autorizzazione unica presentata in data 15 aprile dalla Erg, con il conseguente tacito rilascio di autorizzazione unica».
Silenzio colpevole
Come dire: non avendo negato per tempo quella autorizzazione unica la Regione ha scelto deliberatamente di lasciare campo libero al «silenzio-assenso» a favore dei petrolieri del vento. A nulla valgono le giustificazioni regionali postume alla bocciatura. Sono gli avvocati della Erg a mettere nero su bianco la facoltà regionale di negare quella autorizzazione: «la Regione – scrivono i legali dei petrolieri del vento - avrebbe al più potuto provvedere in autotutela al fine di determinare l'annullamento d'ufficio del titolo autorizzatorio». Viale Trento non lo ha fatto: ha preferito il «silenzio-assenso». Del resto, come potevano smentire il "Draghi-pensiero": per loro, prima di tutto, c'è la «valenza imprenditoriale ed economica». Un provvedimento nefasto, con firma autografa di Mario Draghi, che la Regione sarda ha deciso di avvallare. Ora, però, il «silenzio-dissenso», quello del popolo di Saccargia, è pronto a farsi rivolta.