Arrampicato su una parete rocciosa come un fly climber temerario, dalle pendici alle vette. Ha scalato il cuore dell’Aspromonte e quello della ‘Ndrangheta. Cuore pulsante di una delle più grandi organizzazioni criminali al mondo. San Luca, punta estrema della Calabria, non è un paese come gli altri. Qui, come scrive la Direzione Investigativa Antimafia, «la ’ndrangheta si respira, la ‘ndrangheta si eredita. Le famiglie di ‘ndrangheta si assicurano il controllo del territorio attraverso la continuità generazionale». Un borgo di tremila anime, da quota 36 metri sul livello del mare sino a 1.955 di altitudine. Da qui controllano il territorio limitrofo come nessun altro, traguardano l’orizzonte, dalla Germania alla Sardegna. In queste case scoscese sulla terra di Calabria ci sono tutti i mandamenti e i clan del versante ionico: la 'Ndrina Nirta, la 'Ndrina Pelle, la 'Ndrina Strangio, la 'Ndrina Romeo e la 'Ndrina Giorgi.

Dalle uova alla strage

È il 10 febbraio 1991 quando un gruppo di ragazzi legati ai clan Strangio e Nirta, detti "Versu", in pieno carnevale, scaraventa delle uova contro un circolo “ricreativo” gestito da Domenico Pelle, uno dei "Gambazza". Nella collisione delle uova sulle pareti gli schizzi raggiungono l'auto di uno dei Vottari. È l’inizio della fine. Quelle uova diventano prima la faida e poi la strage di San Luca. L’escalation è un crescendo senza fine. Si uccidono a grappoli, sino alla resa dei conti in terra straniera. La strage si consuma a Duisburg. È ferragosto del 2007. Per mano della cosca Strangio, davanti ad un ristorante italiano a Duisburg, in terra tedesca, vengono uccise 6 persone. È la punta avanzata della guerra criminale tra i clan più cruenti della storia di ‘ndrangheta.

Da San Luca alla Sardegna

Da San Luca alle rive del lago di Costanza, nel Land tedesco del Baden Wùrttemberg, dal Brasile alla Sardegna, il passo è breve. La storia criminale di ‘ndrangheta è senza confini, l’unico passaporto che si riconosce è quello degli affari loschi, da consumare con il sangue e la spregiudicatezza più cruenta. Pensare che l’Isola dei Nuraghi, erroneamente considerata impenetrabile e repellente alla criminalità organizzata, potesse diventare protagonista di questo universo, tempo fa, sarebbe stata una previsione da bollare come allarmismo a buon mercato.

I fatti, un’altra storia

I fatti, però, raccontano tutta un’altra storia. Prima lo sbarco a Nuchis, alle pendici di Tempio, poi, l’invasione del penitenziario di Massama nelle campagne dell’Oristanese, passando per il carcere di Badu ‘e Carros a Nuoro, sino al prossimo trasferimento in massa di 92 capimafia nel carcere cagliaritano di Uta. La Sardegna in pochi anni, con questa perversa transumanza criminale, è entrata maledettamente a pieno titolo nel circuito più nefasto della criminalità organizzata. Dentro le strutture penitenziarie sarde, raccontano radio carcere e i verbali degli inquirenti, iniziano i primi contatti tra la malavita locale e gli esponenti di spicco delle grandi organizzazioni criminali, dalla mafia alla camorra, dalla Sacra corona unita alla ‘ndrangheta.

Incendio con maestrale

Il vortice si estende come un incendio sospinto dal maestrale in una terra arsa dalla crisi economica e dalla ricerca smisurata del guadagno facile. Quello che per alcuni era allarmismo immotivato oggi è già una drammatica realtà, scolpita in atti processuali, con indagini di livello internazionale, con la Sardegna drammaticamente protagonista. È il 5 maggio dello scorso anno quando scatta una delle operazioni più imponenti della Direzione Investigativa Antimafia. Operazione internazionale. Ad essere intercettati due esponenti della ‘ndrangheta posizionati tra Sassari e Alghero, uno in carcere e l’altro agli arresti domiciliari.

Il telefono criptato

Esponenti di primissimo piano, scrivono gli inquirenti negli appunti dell’inchiesta. Parlano a ruota libera, da Capo Caccia alle rive del lago tedesco di Costanza, come fossero agenti della Cia, usano le più sofisticate apparecchiature, dal sistema di criptazione Sky al telefono Bq con protocollo Encrochated. È da quelle conversazioni, ritenute a prova di intercettazione, che scatta una maxi operazione internazionale tra la Sardegna, il territorio italiano, la Germania e la Spagna. Il nome in codice dell’incursione nel cuore del potere di San Luca è “Platinum-Dia”.

Guerra vera

Lo schieramento in campo è da guerra. Duecento donne e uomini della Direzione Investigativa Antimafia, un centinaio di unità della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza con il supporto di unità cinofile, elicotteri e militari del Reggimento Genio Guastatori di Caserta, ben 500 agenti della Polizia Criminale del Baden-Wuttemberg, della Polizia Economico Finanziaria di Ulm e della SEK, della polizia rumena e spagnola. Sotto attacco delle forze dell’ordine è uno dei sodalizi cruciali della strage di Duisburg.

Sardegna “protagonista”

La “famiglia-clan” di San Luca controlla un sistema articolato di narcotraffico internazionale con la Sardegna drammaticamente coinvolta in un vortice sempre più preoccupante. Finiscono in carcere 33 personaggi di primo piano, con 65 indagati. Tra Cagliari e Alghero raggiungono le patrie galere sette soggetti sardi, tutti basisti dell’infiltrazione ‘ndranghetista nell’Isola. Una retata in grande stile che, però, sull’istante, non aveva ancora disvelato il cuore della strategia criminale. Mettendo insieme i puntini dell’inchiesta, collegandoli l’un l’altro, emerge un quadro che definire inquietante è riduttivo. A svelare il contenuto di quel piano emerso dalle intercettazioni, dagli arresti e i sequestri di prove e documenti, sono i verbali della Direzione Investigativa Antimafia. Questa volta non più rischi di infiltrazioni e basta. Nelle carte si legge una strategia da “mani” della ‘ndrangheta sulla Sardegna. Citiamo testualmente, per scandire fatti e non supposizioni allarmistiche. L’operazione messa nero su bianco nei documenti riservati dell’inchiesta ha rivelato non solo i traffici illeciti e criminali, ma anche i piani strategici per la Sardegna di uno dei più potenti sodalizi di ‘ndrangheta con a capo la famiglia di San Luca, la stessa a cui appartengono i due personaggi di primo piano dislocati tra Sassari e Alghero, autori delle intercettazioni chiave dello show down criminale.

Baricentro ‘ndrangheta

Sui piani della famiglia criminale di San Luca gli investigatori non lasciano margini: «aveva gettato le basi per aprire una nuova piazza di spaccio in Sardegna….svelando chiaramente l’intenzione di importare in Sardegna, con cadenza mensile, ingenti quantitativi di stupefacente (circa 20 kg di cocaina), spostando di fatto il baricentro delle attività di spaccio gestite dallo stesso, dalla Sicilia alla Sardegna, ove creare una nuova e redditizia “piazza di spaccio” sarda». Parole vergate con il marchio della Direzione Investigativa Antimafia. In pratica una delle più imponenti organizzazioni del narcotraffico al mondo aveva pianificato di «spostare il baricentro dalla Sicilia alla Sardegna». Non ci vuole molto a comprendere il peso di queste affermazioni, per collegare i fili di quanto sta avvenendo in un silenzio assordante nell’Isola che si pensava immune dalla criminalità organizzata. È sempre l’ultimo dossier della Direzione investigativa a tracciare modalità e obiettivi dell’organizzazione criminale: «La Sardegna ha rappresentato per la ‘ndrangheta un mercato nel quale entrare, con la propria organizzazione e struttura logistica, per la vendita di sostanze stupefacenti… ove espandere i propri commerci illeciti, sia individuando nuovi canali di smercio (acquirenti stabili e/o stabili soggetti sui quali fare affidamento) sia iniziando ad effettuare importazioni di rilevanti quantitativi, creando quindi una nuova “rete” di affari” tramite soggetti cagliaritani».

Cagliari nel mirino

Aggiunge la Direzione investigativa: «In considerazione della sua importanza commerciale ed imprenditoriale il capoluogo sardo è maggiormente esposto all’influenza dei sodalizi mafiosi extraregionali». A Uta, intanto, nel carcere alle pendici di Monte Arcosu, come se niente fosse, si prepara il nefasto arrivo di altri 92 capimafia. Nella terra dei Nuraghi regna un silenzio maledetto, quasi un benvenuto ai signori di San Luca nell’Isola Cayenna di Stato.

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