La grazia è quella di un bulldozer, l’eleganza quella di uno schiacciasassi. Quando c’è da depredare la Sardegna per lo Stato di Roma non c’è Costituzione che tenga, figuriamoci lo Statuto Autonomo, quello che nel 1948 aveva reso «Speciale» la Regione sarda. L’hanno accartocciato come una pallottola da gettare nel primo cestino a portata di mano, calpestato e ignorato come se non esistesse.

Ultima “scorpacciata”

L’ultimo “scippo” si consuma sull’altare dell’ultima grande “scorpacciata” di Stato, quella delle materie critiche e rare, la nuova frontiera degli affari “evergreen”. Figuriamoci se dinanzi ad affari miliardari dal profumo di “Litio” o “Stronzio”, “Tungsteno” o “Arsenico” potevano perdere tempo dietro “orpelli” costituzionali, tra competenze primarie o concorrenti. Roba da far impallidire l’antico Governo sabaudo, quando si impossessò delle miniere dell’Isola per “rapinare” piombo e zinco a colpi di concessioni e regi decreti. Ne è passato da allora di minerale nelle gallerie di Monteponi e Ingurtosu, Montevecchio e Silius.Una vera e propria “spaccata” reale consumata nelle viscere della terra con permessi prefettizi e autorizzazioni del Corpo Reale delle Miniere. Da allora sono passati 184 anni. Di punto in bianco, con un colpo di mano e uno di testa, lo Stato fa ripiombare la Sardegna indietro di quasi duecento anni, strappandole “manu militari” la competenza sulle miniere e sulle cave assegnatale dai Costituenti del ‘48. Era stato l’articolo tre, lettera «m» dello Statuto Autonomo della Sardegna a riconoscere a Viale Trento la competenza primaria su «esercizio dei diritti demaniali e patrimoniali della Regione relativi alle miniere, cave e saline». Un riconoscimento duplice, il primo per ripagare l’Isola della depredazione dei Savoia, il secondo come “premio” per l’apporto delle miniere sarde, dal piombo al carbone, allo sviluppo post bellico dell’Italia. A Roma, non solo se ne sono altamente fregati, ma i Palazzi della Capitale hanno ingegnato, a modo loro, un meccanismo “apparentemente” semplice per aggirare l’ostacolo “costituzionale”. Nella premessa del “decretino” minerario appena convertito in legge hanno inserito una formula che nei calcoli degli “scippatori” statali servirebbe per neutralizzare la competenza primaria della Regione Sarda. Con l’unico fine di tentare di “by-passare” il riconoscimento costituzionale della competenza primaria della Sardegna in tema di «miniere e cave», gli uffici ministeriali hanno dichiarato che quel provvedimento avrebbe il carattere di «riforma economica e sociale dello Stato». Un passaggio che assoggetterebbe l’intero articolo tre, quello delle competenze primarie della Regione, ad un primato "universale” dello Stato sulla Sardegna.

Pseudo “Riforma”

Anche il più statalista degli statalisti avrebbe difficoltà, però, ad attribuire a quel decreto, appena divenuto legge, una valenza tale da farlo definire pomposamente “Riforma economico e sociale dello Stato”. Una sorta di azzardato colpo di mano per strappare alla Regione la potestà legislativa, amministrativa ed economica sul governo delle miniere, del sottosuolo e di quanto ancora resta nelle profonde venature terrestri, sino a quei cumuli di ”inquinanti” sterili minerari abbandonati proprio dallo Stato, nella fattispecie l’Eni, lasciando sul territorio inquinamento e devastazione ambientale. Sino a ieri, di quell’abbandono minerario e di quei lavoratori licenziati in tronco, Roma se n’è fregata altamente, con misera negligenza e vigliacca responsabilità. Ora che i report chimico-fisici raccontano di una Sardegna ancora piena di «materie rare e critiche», da nord a sud, dentro le gallerie e in quelle dighe ciclopiche di fanghi carichi di metalli di ogni genere, dai tenori ”stellari” di piombo e zinco sino alle materie più ricercate per gli affari green, lo Stato si è ricordato di Monteponi, Campo Pisano, San Giovanni Miniera, Buggerru, Montevecchio e Ingurtosu, riaccendendo i riflettori sulla miniera di Silius e sugli scarti di lavorazione del granito di Buddusò.

I signori delle “rare”

Il blitz dei Signori delle «materie rare e critiche» si consuma in una delle ultime sedute del Parlamento con un’approvazione senza modifiche al testo del Decreto “uscito” dalle Commissioni. Tre i capisaldi del grande “scippo” di Roma ai danni della Sardegna. Il primo: passa sotto il controllo di Stato la gestione delle miniere chiuse, aperte e da riaprire dove siano presenti materie “critiche e rare”, comprese concessioni e “royalties”. Il secondo: il Ministero del «Made in Italy» governerà tutte le vecchie miniere sarde, con particolare riferimento allo “svuotamento” di quelle dighe di sterili “piene” di ogni genere di minerale, dal piombo allo zinco, sino alle terre rare. Il terzo: lo Stato avrà il compito di gestire il riciclaggio delle materie rare e critiche aprendo di fatto la porta ai signori della “Black Mass”, lo scarto mondiale dei rifiuti contenenti “Litio”, e non solo, da spedire a Portovesme per realizzare una delle lavorazioni industriali più “oscure” del “new deal” verde.

Premessa militare

Le disposizioni legislative hanno una premessa “militare”, ordinativa e perentoria: «In ragione del preminente interesse nazionale nell'approvvigionamento delle materie prime critiche strategiche» e «considerata la necessità di garantire sul territorio nazionale il raggiungimento degli obiettivi previsti dal regolamento le disposizioni di cui al presente decreto stabiliscono criteri uniformi per assicurare la tempestiva e efficace realizzazione dei progetti». Con questo incipit il comma che inchioda la Sardegna non lascia adito a dubbi: «Le disposizioni del presente decreto si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano, compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione». Il fatto che si richiami la “compatibilità” è solo un inutile «pro-forma» visto che nel “decreto” è stato imposto il passaggio della “Riforma dello Stato”, capace, secondo Roma, di cancellare ogni resistenza autonomistica. La Regione sarda, dopo la pubblicazione dell’inchiesta del nostro giornale, prima del varo del decreto, ha presentato un emendamento in sede di Conferenza Stato-Regioni con l’obiettivo di far valere la competenza primaria su “miniere e cave”. Emendamento ignorato dal Governo, tanto che ai verbali della Conferenza è registrato il parere contrario della Regione sull’intero provvedimento. Lo “scippo”, se la Regione non impugnerà la legge davanti alla Corte Costituzionale, sarà compiuto.

Il malloppo

I tre miliardi e mezzo di euro stimati di piombo e zinco contenuti nelle dighe degli sterili dell’Iglesiente riempiranno le casse di Roma e non solo, le materie rare di Silius e Buddusò, invece, prenderanno il largo. In Sardegna, nel frattempo arriveranno i rifiuti “pericolosi” della “Black Mass”, quelli del resto nessuno li vuole.

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