La Giunta Cappellacci, secondo Silvio Lai, ormai si sta misurando con la storia: ma per entrarci dalla porta sbagliata. «Questo governo regionale - scandisce il segretario del Pd, nel passaggio più duro della sua relazione all'assemblea del partito - è il peggiore in 60 anni di autonomia dell'Isola». E dopo il voto di Psd'Az e Riformatori contro il rimpasto «la Giunta non ha maggioranza. Trovo irresponsabile proseguire così anziché porre fine all'agonia: in un sistema parlamentare il governatore non ci sarebbe più».

CONTRO IL CENTRODESTRA All'ordine del giorno della riunione dei democratici (convocata a Ottana perché, spiega la presidente dell'assemblea Valentina Sanna, «era già il simbolo del disagio, dopo l'attentato al sindaco lo è anche delle minacce alla democrazia») c'è l'approvazione dello statuto regionale del partito. Ma l'attenzione generale si concentra soprattutto sul momento difficile del centrodestra in Consiglio regionale.

E Silvio Lai, dopo aver polemizzato con Ugo Cappellacci, ne approfitta per lanciare un monito a chi in maggioranza contrasta l'esecutivo, cioè appunto Riformatori e sardisti: «Traggano le conseguenze, la legislatura va conclusa subito. Una critica così profonda che rientri in cambio di poltrone non sarebbe compresa dai cittadini». Serve insomma una presa di distanza concreta dalla Giunta, altrimenti sarà impossibile costruire un'alternativa (magari insieme al Pd) alla vigilia delle amministrative del 2011, o addirittura delle prossime regionali.

LA REPLICA «Lai rispetti il voto del popolo sardo», ribatte Alessandro Serra, portavoce del presidente della Regione: «La Sardegna ha bisogno di una classe politica che la guidi fuori dalla crisi, ma l'esigenza di andare a elezioni è solo del Pd e del suo segretario». I quali «erano al governo fino a un anno e mezzo fa: difficile immaginarli come alternativa credibile». Quanto a Psd'Az e Riformatori, nella «sfida del cambiamento» rilanciata da Cappellacci con «punti programmatici forti, rientrano anche le loro proposte».

GLI STATI GENERALI Per impostare la riscossa futura, Silvio Lai sprona i suoi a «una nuova fase programmatica che ci consenta di aggiornare idee e bisogni per la Sardegna dei prossimi dieci anni». In particolare si proporranno alla coalizione otto iniziative a tema (una per provincia), per arrivare in primavera a «una convenzione programmatica regionale». Un modo per elaborare dei contenuti con un'ampia partecipazione, e metterli al centro della linea politica del centrosinistra.

LE COMUNALI E poi c'è il nodo delle amministrative. Si vota a Cagliari ma anche a Carbonia, Iglesias e altri Comuni di rilievo. Lai rilancia la sfida sul capoluogo, anche citando due questioni di attualità: il Betile e il Teatro lirico. «In nessuna città d'Europa - obietta - si direbbe no a un museo firmato da un architetto di fama internazionale. O si discuterebbe di una delle sole tredici grandi fondazioni culturali presenti nel Paese come se fosse un festival di provincia».

Ma come scegliere gli aspiranti sindaci? «Già lunedì - annuncia il segretario - porteremo al vertice con gli alleati la proposta di fissare una data per le primarie di coalizione, sulla base del regolamento condiviso a febbraio». Si potranno non fare laddove ci sarà convergenza totale su un solo nome: per il resto, entro fine mese si dovrà fissare il termine per le candidature e la data del voto.

GLI INTERVENTI Su questo punto sarà Tore Cherchi, nel dibattito sulla relazione del segretario, a chiedere «una decisione limpida: il Pd vuole le primarie o no? Si dica subito. Se no scorre il calendario e poi è tardi». Graziano Milia invita a concentrarsi sul partito, più che sulle difficoltà altrui: «La Giunta è fatta col compasso, nel senso che mira a ottenere il massimo consenso possibile in Consiglio. Non mi entusiasmano Psd'Az e Riformatori: se fossero così contrari non accetterebbero l'assessorato ai Trasporti, né insisterebbero col centrodestra per candidare Massimo Fantola a Cagliari».

LO STATUTO Le proposte del segretario ottengono comunque l'ok dell'assemblea, pur senza un voto formale. Si vota invece sullo statuto del partito: passaggio non burocratico ma politico, e non solo per il sì all'unanimità. Da tre anni il Pd sardo tentava inutilmente di darsi regole condivise: gli scontri interni avevano finora reso impraticabile persino quello che, in teoria, doveva essere il primo passo del nuovo soggetto politico.

Stavolta anche la minoranza soriana rinuncia a distinguersi. Solo l'area Marino (cui fa riferimento anche Milia) dà battaglia per portare da tre a due il limite dei mandati nelle assemblee elettive. C'è anche un ordine del giorno elaborato dai giovani dell'area, primo firmatario Simone Campus. Ma la proposta ottiene appena sei voti. È l'unico sussulto, in un'assemblea del tutto pacifica (e con varie assenze): forse la svolta unitaria dopo due anni di lacerazioni. Ma è presto per dirlo: altre volte si è respirata la stessa speranza, ma poi i fatti si sono schierati in direzione contraria. E ostinata.

GIUSEPPE MELONI
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