Il volto è sereno. La grande rinuncia è ancora lontana quando il Papa di «ghiaccio» irrompe sull’altare di Bonaria, la Madre dei Sardi. Il sole è già a picco sulla scalinata che si staglia come una vetta sacra sul Golfo degli Angeli. Quando il Vicario di Cristo, venuto mite e canuto dalla Baviera, si affaccia in terra di Sardegna è un tripudio sventolante di emozioni. Joseph Ratzinger, il “tedesco”, il “burocrate delle vaticane stanze di Roma”, il teologo conservatore, non parla, detta. In quella giornata dell’otto settembre di quattordici anni fa in una piazza che fu dei Centomila ci sono tutti. C’è lo Stato, quello italiano, ai massimi livelli, ci sono i porporati e i potenti, tutti ad ossequiare il successore di Pietro giunto nell’Isola per onorare i cento anni della Basilica dedicata a Bonaria. Lui, filosofo come pochi, sa bene, però, di non essere lì per loro.

Orecchie per intendere

La missione pastorale in terra sarda è nel contempo simbolo e colonna portante di un’architettura spirituale tanto moderna, quanto inquieta per un Sommo Pontefice tanto forte quanto debole. Chi conosce il sottile incedere di quest’uomo tra le Sacre scritture sa bene che non professa con uno scalpello, piuttosto incide il suo pensiero con l’abilità di chi maneggia la storia e la filosofia come pane quotidiano. Chi in terra sarda si aspetta da Papa Benedetto sedicesimo un’omelia “fredda” e distaccata, deve fare i conti con un uomo imprevedibile, capace di agguantare principi e valori, di traguardare pilastri e ponti, con la trasposizione di allusioni storiche e simboliche che fanno del suo esercizio spirituale un testamento tutto sardo del più profondo Cristianesimo. Il riverbero di quelle parole pronunciate al cospetto di Bonaria scuote gli animi e le coscienze, nonostante quel suo stile che comunica con il tatto di una piuma e scolpisce con la mano ferma di un chirurgo. Il pesante fardello della guida della Casa di Cristo precede come un lampeggiante quell’uomo candido dalla chioma segnata dal tempo. È sottile il suo dire nella terra dei martiri, quasi ad esortare quel suo moto di “orecchie per intendere”.

Impedita o vacante

È lui che conserverà con le proprie spoglie il mistero di quel suo lascito, stritolato dal peso di una “sede impedita” piuttosto che “vacante”. Mai, forse, sapremo, se Benedetto avrà abdicato o se il peso delle sue idee l’avranno costretto alla resa. Di certo a Cagliari, in quella giornata baciata dal riflesso del Golfo degli Angeli sulla soglia di Bonaria, Ratzinger ha pronunciato un’omelia destinata a scalare i gradini più alti della storia. Quel suo gesto di abbandono del soglio più alto non potrà certo sovrastare l’imponente lascito culturale, spirituale e teologico di un “Pastore venuto per coltivare la vigna del Signore”. Il testamento tutto sardo di Ratzinger è lezione alta di vita e di valori, una miscellanea forte di Cristianesimo e di profonda identità sarda. Ed è qui, in quest’alveo inesplorato di storie antiche e identità profonde, che Benedetto XVI detta la sua Enciclica Sarda, quella che solo postuma potrà essere riletta come un’esplosiva esortazione alla profonda integrazione dell’identità del Popolo Sardo e dei valori universali del Cristianesimo. Quella che circoscrive nel suo pensiero è storia passata e moderna, di profittatori e conquistatori, invasori e barbari, ma è anche lezione di martiri, confinati nelle viscere della terra sarda ad espiare la colpa della propria cristianità. La lezione di Ratzinger è insigne dottrina, ma la Sardegna e i Sardi assurgono a testimonianza imponente del suo insegnamento. Un messaggio forte e chiaro, quello di Cagliari, pronunciato quando il declino di valori e pensieri già spadroneggia nella vita quotidiana. È la vicenda umana ed intellettuale di Ratzinger che gli consente di porre l’uomo al centro della vita con l’innato senso di razionalità e spiritualità, con la cultura che diventa massima espressione dell’uomo. Una magistrale lezione che, attraverso gli esempi della storia, trasforma due negatività, le invasioni della terra Sarda e le vessazioni contro i Cristiani, in un’identità profonda di valori capace di segnare in modo indelebile proprio le genti di Sardegna, forgiate “geneticamente” dalle sofferenze per tante aggressioni esterne e dal martirio a cui sono stati sottoposti nella storia i profeti di Cristo. Lo afferma con la certezza dello storico, lo sottolinea con la saggezza del Santo Padre.

Spade e germogli

Rivolgendosi a quella piazza che fu dei Pontefici precedessori, Benedetto XVI ne trae sintesi e magistero: «In Sardegna il cristianesimo è arrivato non con le spade dei conquistatori o per imposizione straniera, ma è germogliato dal sangue dei martiri che qui hanno donato la loro vita come atto di amore verso Dio e verso gli uomini». Il richiamo di Ratzinger alla storia è serafico: «È nelle vostre miniere che risuonò per la prima volta la Buona Novella portata dal Papa Ponziano e dal presbitero Ippolito e da tanti fratelli condannati “ad metalla” per la loro fede in Cristo. Così anche Saturnino, Gavino, Proto e Gianuario, Simplicio, Lussorio, Efisio, Antioco sono stati testimoni della totale dedizione a Cristo come vero Dio e Signore. La testimonianza del martirio conquistò un animo fiero come quello dei Sardi, istintivamente refrattario a tutto ciò che veniva dal mare». Quel respingere i nemici d’oltre mare venuti per estirpare identità e terre diventa, però, nell’esortazione del Papa filosofo, occasione di riscatto per valori profondi: «La Sardegna non è mai stata terra di eresie; il suo popolo ha sempre manifestato filiale fedeltà a Cristo e alla Sede di Pietro. Sì, cari amici, nel susseguirsi delle invasioni e delle dominazioni, la fede in Cristo è rimasta nell’anima delle vostre popolazioni come elemento costitutivo della vostra stessa identità sarda».

Altruismo e generosità

Un richiamo persistente a quella protezione suprema e fondamentale dell’identità di popolo affidata a valori alti, i più alti della dignità umana, radicandosi in donne e uomini divenuti fulgido esempio di altruismo e generosità. Papa Joseph li richiama uno ad uno elevandoli al rango più alto: «Così la fede si è sempre più radicata nel cuore dei fedeli fino a diventare cultura e produrre frutti di santità. Ignazio da Laconi, Nicola da Gesturi sono i santi in cui la Sardegna si riconosce. La martire Antonia Mesina, la contemplativa Gabriella Sagheddu e la suora della carità Giuseppina Nicoli sono l’espressione di una gioventù capace di perseguire grandi ideali». È quella sarda, secondo Ratzinger, la via maestra per affrontare i lunghi cammini accidentati della vita, traendo lezione e facendo tesoro del sacrificio dei martiri dell’Isola.

Semplice e coraggiosa

Una similitudine che diventa connubio, sintesi del pensiero illuminato di Benedetto XVI, tutto rivolto all’indole del Popolo Sardo: «Questa fede semplice e coraggiosa, continua a vivere nelle vostre comunità, nelle vostre famiglie, dove si respira il profumo evangelico delle virtù proprie della vostra terra: la fedeltà, la dignità, la riservatezza, la sobrietà, il senso del dovere». Il riconoscimento del Santo Padre non è piaggeria. La sua omelia, infatti, consacra, come mai prima, l’identità sarda come valore intrinseco di una comunità con principi profondi e una lingua tutta sua. Concetti che esprime ricorrendo, per la prima volta per un successore di Pietro, alla simbologia più alta della cultura sardo-cristiana.

Mama, Fiza, Isposa

Parole scandite in sardo per richiami profondi: «La vostra Isola, cari amici della Sardegna, non poteva avere altra protettrice che la Madonna. Lei è la Mamma, la Figlia e la Sposa per eccellenza: “Sa Mama, Fiza, Isposa de su Segnore”, come amate cantare. La Mamma che ama, protegge, consiglia, consola, dà la vita, perché la vita nasca e perduri. La Figlia che onora la sua famiglia, sempre attenta alle necessità dei fratelli e delle sorelle, sollecita nel rendere la sua casa bella e accogliente. La Sposa capace di amore fedele e paziente, di sacrificio e di speranza». Mai un Pontefice aveva osato riconoscere la lingua sarda per esaltare valori profondi e indelebili, incardinati quasi geneticamente nell’essenza stessa del Popolo Sardo. L’Enciclica identitaria diventa per Ratzinger la via illuminata per dare risposte coraggiose a quei giovani sardi che Benedetto definisce «assetati di verità e di ideali proprio quando sembrano negarli».

La Via Sarda

La via maestra, esorta il Pontefice, è l’impegno a «cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile». Il Papa di Roma fa propria la testimonianza della Madonna di Bonaria, in quel filo rosso che lega l’identità dei sardi e i valori del Cristianesimo: «Maria è porto, rifugio e protezione per il popolo sardo, che ha in sé la forza della quercia. Passano le tempeste e questa quercia resiste; infuriano gli incendi ed essa nuovamente germoglia; sopravviene la siccità ed essa vince ancora». Adíos, adióssu, adiósu, Papa Joseph, il successore di Pietro che ha parlato in sardo alla coscienza e all’identità di un popolo intero.

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