Ora vuole solo ritornare a vivere, dopo sei anni di violenze di ogni tipo e conclusi, finalmente, dieci anni di indagini e di udienze. Lei è una imprenditrice di Olbia, poco più di 50 anni, che ieri ha saputo (non era in aula) della fine del processo penale che la vedeva vittima di violenza sessuale, lesioni, tentate lesioni gravissime, maltrattamenti e stalking. Il Tribunale di Tempio (collegio presieduto da Giuseppe Magliulo) ha condannato a nove anni di reclusione l’ex compagno della donna, Giovanni Calvani, un imprenditore che per lungo tempo ha operato in città nel ramo delle forniture di abbigliamento tecnico da lavoro. Il pubblico ministero aveva chiesto sette anni di carcere, i giudici ne hanno inflitto due in più all’uomo. Nel corso di decine di udienze, è stata raccontata in aula una storia raccapricciante, che inizia nel 2009 e non ancora finita.

Violentata

Calvani è stato riconosciuto responsabile di violenze sessuali ripetute. Avrebbe abusato della compagna per mesi, costringendola con la forza ad avere rapporti sessuali. Avrebbe nascosto alla donna di essere sieropositivo, esponendola al rischio di contagio (fortunatamente non avvenuto) e per questa ragione è stato condannato per tentate lesioni gravissime. La vittima è stata picchiata in casa (in un’occasione le è stato tirato addosso un pesante tavolo) e diverse volte anche in pubblico. Il pm Mauro Lavra contestava anche l’utilizzo di sassi per colpire la vittima, fatti avvenuti in una spiaggia del litorale di Olbia. Oltre alla violenze fisiche ci sono quelle morali, gli insulti continui e dopo la fine della relazione anche la persecuzione con telefonate e chat. Il difensore di Calvani, il penalista Angelo Merlini, ieri non ha rilasciato dichiarazioni, è certo comunque il ricorso in appello. La vittima si è costituita parte civile (assistita dall’avvocato Nicola Di Benedetto) e chiede un risarcimento di 250mila euro. «Non nascondo – dice Di Benedetto - che anche il processo è stato un calvario». In effetti, con il cambio di cinque collegi e udienze per sette anni, alla sofferenza per le violenze subite, si è aggiunto il dolore causato dai tempi infiniti del processo.

Andrea Busia

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