Bambini che vivono tra cumuli di rifiuti, sostanze tossiche e scarti di macellazione, senz’acqua ed energia elettrica. C’è un caso umanitario insieme all’emergenza ambientale nel campo nomadi di Sa Corroncedda, dove – malgrado l’ordinanza di sgombero – ancora vivono sei famiglie rom con 19 minori per i quali non c’è un tetto alternativo. Una situazione esplosiva.

E la bomba è scoppiata alla fine di settembre, quando due comitati di cittadini (“Quattro corsie Olbia-Sassari” e “Complanari”) hanno presentato un voluminoso dossier che documenta la situazione delle aree intorno alla nuova strada a quattro corsie per Sassari costellate di discariche abusive. Il caso più drammatico quello di Sa Corroncedda, il campo nomadi in via di dismissione, dove sono stati accatastati negli anni tonnellate di rifiuti di ogni tipologia merceologica: dal materiale edile ai pneumatici, dai frigoriferi commerciali agli scarti di macellazione. Una situazione che chiama in causa le persone che hanno vissuto nel campo ma non solo. Sa Corroncedda è ormai diventata a tutti gli effetti una discarica in cui si può conferire semplicemente chiamando un camioncino, senza costi e vincoli burocratici. E le montagne di spazzatura sono così alte che è stata prospettata anche l’ipotesi di un vero e proprio traffico illegale di rifiuti. Anche la Procura della Repubblica ha aperto un’inchiesta. Il sindaco Settimo Nizzi ha firmato il 3 ottobre un’ordinanza di sgombero che non è stata ancora materialmente eseguita in attesa di trovare un tetto per le famiglie. Dopo si potrà procedere a bonificare il sito e si parla di una cifra che si aggira sui tre milioni.

La scomparsa di Scevka Seferovic (foto Antonio Satta)
La scomparsa di Scevka Seferovic (foto Antonio Satta)
La scomparsa di Scevka Seferovic (foto Antonio Satta)

IL PROGETTO DI INCLUSIONE - L’emergenza ambientale in realtà ha dato un colpo di acceleratore a una chiusura che era già prevista in nome dell’inclusione della comunità rom, e in questa chiave il Comune di Olbia ha ottenuto dalla Regione 430 mila euro, la fetta più alta in Sardegna (il totale era un milione e mezzo per sette comuni isolani) perché più alta è la presenza con 39 famiglie e 241 persone residenti. Fondi, destinati a questo scopo dalle normative europee, che devono essere utilizzati per agevolare l’inserimento nelle case in città attraverso un sostegno per gli affitti e un progetto educativo per facilitare la convivenza. In virtù di questo progetto già avviato Olbia figurava tra i comuni virtuosi nel rapporto nazionale “I margini del margine” redatto dall’associazione 21 luglio. Così come la città gallurese era stata tra le prime in Sardegna, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, per superare gli accampamenti abusivi, a istituire un campo attrezzato con acqua ed energia elettrica e un regolamento con particolare attenzione alla prevenzione sanitaria e alla scolarizzazione dei bambini.

I BAMBINI - Prima dello smantellamento erano cento i minori che vivevano a Sa Corroncedda. «Il tasso di scolarità, fino alla terza media, è alto anche perché altrimenti si perdeva il diritto di stare al campo» ha spiegato l’assessore ai Servizi sociali Simonetta Lai: «La gran parte va all'istituto comprensivo che ha ormai esperienza nell'integrazione e a scuola, tra coetanei, non ci sono problemi particolari. Però le mamme ci raccontano che i bambini soffrono a non poter invitare i coetanei». Pochi vanno avanti alle scuole superiori ma c’è qualche brillante eccezione e due anni fa Saban Breganovic, studente del secondo anno al Tecnico Panedda, aveva ottenuto una delle otto borse di studio assegnate in Sardegna dall'Unar e dalla Fondazione Anna Rugiu a ragazzi di etnia rom in base al profitto scolastico

Il sindaco Settimo Nizzi a Sa Corroncedda (foto Antonio Satta)
Il sindaco Settimo Nizzi a Sa Corroncedda (foto Antonio Satta)
Il sindaco Settimo Nizzi a Sa Corroncedda (foto Antonio Satta)

CASE INTROVABILI - Ma il progetto di inclusione si è rivelato difficile, forse più del previsto. Le prime quattro famiglie, quelle che sono state giudicate più pronte ad affrontare la transizione, hanno lasciato il campo esattamente un anno fa tra mille difficoltà. E le difficoltà sono andate aumentando, tanto che il rischio è quello di non superare il concetto di campo e di tornare indietro agli accampamenti abusivi. Diverse famiglie, infatti, hanno acquistato o preso in affitto aree agricole dove però non è possibile costruire. E hanno installato prefabbricati di legno convinte di poterci vivere. Uno di questi micro campi è stato scoperto una settimana fa dalla Polizia locale. Per ora non ci sono stati provvedimenti, perché anche in questo caso ci sono decine di bambini che si troverebbero senza un tetto. Ma è sempre una soluzione irregolare e quindi non accettabile.

Il nodo centrale resta il pregiudizio, evidentemente difficile da superare. «La situazione è molto complessa – spiega ancora l’assessore Lai - la difficoltà a trovare appartamenti da dare in affitto a queste famiglie è immensa. Il pregiudizio nei confronti delle persone di etnia rom è molto forte e il problema non riguarda solo il nostro Comune. Sassari, Selargius e Porto Torres, tutti beneficiari dei fondi stanziati dalla Regione, si trovano nella nostra stessa situazione».

Una battaglia ai pregiudizi ribadita anche dal sindaco nell’ultimo Consiglio comunale dedicato all’emergenza rifiuti: «Dobbiamo assolutamente togliere i bambini da quell’ambiente malsano, se anche gli adulti dovessero aver commesso degli illeciti - ha detto Settimo Nizzi - A chi invoca maggiori diritti per i nostri concittadini, ricordo che i diritti sono uguali per tutti e sanciti dalla Costituzione». La maggioranza dei rom di Sa Corroncedda sono cittadini italiani, i bambini di seconda o terza generazione.

Qualche settimana fa la morte (per malattia) al campo di Scevka Seferovic, 62 anni, nota come Pamela, la rom più conosciuta in città, ha suscitato un’ondata di commozione sui social. Tanto che la famiglia ha organizzato un funerale pubblico al quale hanno partecipato diversi olbiesi. E anche in quell’occasione il marito, che vive ancora con parte dei figli a Sa Corroncedda, ha parlato della difficoltà di trovare una casa: «Volevamo andare via, lei era malata e al campo non c’è neanche acqua. Ma non riusciamo a trovare una casa. Se due o tre di noi non sono bravi, per la gente siamo tutti uguali».

Caterina De Roberto
© Riproduzione riservata