Rituali, simboli, gerarchie e potere. Affari, relazioni, vizi, sfarzo imperialista e denaro a gogò. Una valanga infinita di euro, dollari e rubli. Beneficenza, mance e investimenti milionari, tutti funzionali ad alimentare un vero e proprio “sistema” oligarchico in quella terra trasformata in Costa Smeralda da un uomo tanto ricco quanto austero. Dall’Aga Khan agli emiri, dagli arabi ai russi il passo è stato lungo sessant’anni. Tutto trasformato, inesorabilmente. La storia di questo lembo di Sardegna trasformatosi negli ultimi vent’anni in un’enclave russa in terra sarda è segnata da uomini potenti, ricchi sfondati, con un unico comune denominatore: Vladimir Putin. Qui non hanno comprato solo una villa, ma ora posseggono quartieri interi di Porto Cervo. Ci sono i compagni di giochi e di sport, i fratelli Rotenberg, ci sono i complici sentimentali e d’affari, come Alisher Usmanov, ci sono gli amici trasformati in succursali petroliferi, industriali, bancari e finanziari, da Gennady Timchenko ad Oleg Deripaska. Tutti racchiusi in un blindatissimo sistema dove non si va a passeggio per le viuzze dorate di Porto Cervo, dove non si vive lo sfarzo della Costa Smeralda in senso stretto, ma si interagisce solo ed esclusivamente in una cerchia ristrettissima e rigorosamente russa.

Gli spifferi russi

Quando gli “spifferi”, da queste parti sempre circospetti, raccontano il “sistema Putin” nella baia di Porto Cervo non usano mezzi termini: un vero e proprio Stato parallelo, silenzioso, potente, con le sue articolazioni di potere, dai vertici alle seconde linee. Un circuito alimentato negli anni, una macchina del lusso, quello smisurato e senza confini, quello che deve stupire, magari per qualche settimana all’anno, ma che deve scolpire nella mente dei “sudditi” chi è il più ricco e il più potente degli amici dello Zar di Russia. È uno “Stato” sospeso tra aria, mare e terra. Aerei che appartengono più alla fantascienza che alla realtà, con centri benessere e piscine a bordo, yacht che si misurano in centinaia di milioni di dollari e centinaia di metri. Tutto, però, si svolge nel silenzio più totale. I russi ci sono, la ricchezza la mostrano in tutta l’imponenza del simbolo gerarchico, ma loro non li vedi, mai o quasi.

Usmanov, l’intoccabile

Non si sa chi arriva a bordo di quei “traghetti” dallo sfarzo sfrenato, chi ci vive per quei 50/60 giorni di vita da champagne, ricchi premi e cotillion, circondati da mare esclusivo e paradiso terrestre ovunque. Di certo c’è lui. O meglio c’era, viste le sanzioni che per lungo tempo gli impediranno di rimettere piede, anzi pantofole, in Sardegna. Alisher Usmanov qui è considerato l’intoccabile. Osannato e riverito, venerabile e dispensatore di mance da nababbi. 

Spesucce milionarie

Capace con il suo “Stato” oligarchico di generare un vortice di denaro che tra personale, servizi e consumazioni varie va sempre sopra le otto cifre. Milioni e milioni di spesucce. Senza rendicontazione, ovviamente, non foss’altro che la borsa della spesa è sempre stata affidata agli uomini più fidati, quelli riconoscibili a distanza. Tutti qui sanno chi sono, come si muovono e quanto contano nell’eremo sardo del più potente oligarca di Putin. Per capire chi governa questo sistema russo nel cuore della Costa Smeralda bisogna affidarsi ai simboli, quelli usati per scandire la gerarchia dei luoghi e degli affari, del potere e dell’illimitata ricchezza. Qui, il simbolo numero uno, per tanti anni, sino a qualche mese fa, è stato il Dilbar, una sorta di Cremlino acquatico piazzato come un palazzo di Stato in mezzo alla baia più ambita di Porto Cervo.

La boa d’oro

Piazzato significa “piazzato”, nel vero senso della parola. Non è un caso che quella boa che si è fatto assegnare in mezzo al mare sia il centro esatto delle acque turchesi della Costa Smeralda. Troppo complicato riportare in porto quel “mostro” di lusso navigante, nonostante il Principe gli abbia consentito di ampliare, a spese russe, il pontile di attracco nel Porto Vecchio. Poco simbolico ormeggiarlo in una banchina seppur gigantesca, meglio quell’ancora imponente e visibile da qualsiasi angolo dell’anfiteatro naturale di Porto Cervo. Se non lo si vede è preferibile sottoporsi ad un controllo oftalmologico, significa che la vista è disturbata. Alisher Usmanov quella boa, costo 147 mila euro all’anno di canone, l’ha voluta lì perché tutti vedessero quel mausoleo sull’acqua, 156 metri di lunghezza e 23 di larghezza, 80 persone di equipaggio, 55 cabine in tutto. Lo yacht più grande del mondo, 600 milioni di dollari di valore, ora “congelato” in un porto del nord Europa.

Il Cremlino di Porto Cervo

Sul Dilbar si è detto di tutto e di più, ma c’è qualcosa che tutti sanno ma che nessuno confermerà, forse nemmeno a microfoni spenti: è lì, in quello yacht gigantesco, che lo “Stato” oligarchico in terra, in mare e in aria di Sardegna gestisce le relazioni universali di un uomo tanto “ampio” quanto potente. I ben informati raccontano di un via vai incessante, di tanti che gli chiedono di incontrarlo, dalle persone più semplici ai potenti locali e mondiali, dai capi di Stato esteri a quelli dell’alta finanza. Si racconta che Jack Ma, il potentissimo inventore della piattaforma Alibaba, uno dei cinesi più potenti e influenti al mondo, quando lo scorso anno fece perdere le sue tracce, in realtà fosse ospite proprio del magnate russo nella gigantesca “dacia del mare”.

Da Alibaba a Facebook

Del resto Usmanov non si è mai risparmiato nelle relazioni sarde con gli altri Stati stranieri, dalla Cina agli Stati Uniti. È stato in assoluto l’oligarca più innovativo della cerchia di Putin, capace di scommettere di punto in bianco 200 milioni di dollari nell’invenzione di un ragazzino, Mark Elliot Zuckerberg, che sognava di creare una piattaforma chiamata Facebook. Riceve in incognito Capi di Stato e leader mondiali, gli fa scegliere se pernottare nelle 20 cabine extra lusso del Dilbar dedicate agli ospiti illustri oppure farli accompagnare, lontani da occhi indiscreti, via mare, con miniyacht trasformati in tender, in una delle sue tante ville dotate di pontile esclusivo. La scelta non gli manca: ci sono le dacie milionarie di Punta Capaccia, attaccate all’imponente villa fantasma del “sistema” Rotemberg, a quelle del Pevero o villa Violina di Liscia di Vacca, dove, però, per le poche volte che scende a terra, preferisce soggiornare personalmente. Gli costa un “pochino” la guardiania di cotante ville, ma si conosce solo il canone che versa al Consorzio per gestire una parte del suo sistema di sicurezza: un milione e 200 mila euro all’anno.

Bevande e pieno

Se il paniere della vita di questa sorta di Capo di Stato “oligarchico” in terra sarda lo si dovesse misurare a suon di bevande consumate nell’ultimo anno dalla cambusa del Dilbar si avrebbe la sorprendente cifra a sei zeri, nemmeno quantificabili in litri di aranciata e coca cola. Di certo l’organizzazione affidata alle sue società collaterali, quelle dedite a ordinare e saldare i conti del Dilbar, hanno speso nel 2021 oltre un milione di euro, per non parlare di quando quel gigante dei mari si deve spostare ad Olbia per fare il pieno di carburante: un milione e mezzo di euro ogni volta, con decine di autobotti in fila per colmare il serbatoio mai vuoto dello yacht più visibile della Costa.

Scott Marina, la manna

A sovraintendere l’intero sistema c’è sempre una sorta di “generale di corpo d’armata”, un australiano fattosi russo dal fare sbrigativo e autorevole. Scott Marina, nome declinato al femminile per un uomo che, invece, governa, anzi governava, l’immenso impero sardo di Usmanov. Raccontano a Porto Cervo che quando Scott entrava nel locale prescelto si faceva festa, significava che la manna dal cielo aveva bussato alla porta d’ingresso: prenotazione da mille e una notte con incasso sufficiente per mettere in attivo l’intera stagione.

Le pantofole

Scott è sempre riuscito a risolvere ogni genere di emergenza, tranne quella delle pantofole in pelle. Si narra che Usmanov fosse affezionato a quelle che indossava quotidianamente a bordo del Dilbar. La mole, però, le aveva letteralmente sfaldate. Chiese per due volte di salvarle, alla terza il ciabattino rispose: non si possono più riparare. Lo comunicarono all’oligarca che rispose: ricompratele uguali. Gli dissero che la fabbrica era stata chiusa. Non si perse d’animo ed esclamò: fatela riaprire.

***

LEGGI ANCHE:

IL VIDEO:

© Riproduzione riservata