Cercavano feldspati per fare ceramiche, in un attimo si sono ritrovati a sfidare la Cina. Nell’antica terra dei graniti, sul labile confine tra la provincia di Sassari e quella della Gallura, le cave sono strategiche come il forno per il pane. Da sempre croce ambientale e sviluppo economico, contesa atavica tra le seconde e terze lavorazioni di una pietra che, invece, molto spesso lascia l’Isola in blocchi ciclopici per essere lavorata altrove. Qui anche Loelle, il nuraghe un pò a corridoio e un pò a "tholos" che sovrasta il paesaggio, posa il suo orizzonte e le sue radici su un affioramento di granito che emerge impetuoso da questa terra antica. L’incedere di esplosivi e tecniche più avanzate hanno nel tempo sfregiato il paesaggio, molto spesso ferito senza alcuna “medicazione” postuma. Nei tempi che furono la riabilitazione ambientale, il ripristino del paesaggio, non erano temi all’ordine del giorno.

Ricucire gli “strappi”

Quando si apriva il nuovo fronte di cava non c’era quasi mai un piano per risanare quello squarcio nella roccia. Negli anni, però, la consapevolezza che il patrimonio ambientale e paesaggistico non potesse essere depredato senza un futuro, ha obbligato tutti, parte pubblica e privati, a ripensare a due questioni fondamentali: il recupero di tutti i materiali di scarto, con il riuso in chiave economica e ambientale, e la “ricucitura” paesaggistica di quegli “strappi” sul paesaggio. Ci ha pensato Giovanni Soro, granito nel sangue, una vita tra esplosioni e miniere a cielo aperto nel distretto di Buddusò.

50% di scarti

È sempre stato consapevole di avere tra le mani non solo una cava di pietra, ma anche un grande potenziale di “rifiuti”, quasi il 50% di quello estratto. Per tutti, sino a poco tempo fa, era solo uno scarto della lavorazione industriale. Il passo tra l’intuizione e la ricerca passa tra i moderni “alambicchi” dell’Università di Ferrara e le analisi sul campo nella cava di Giovanni Soro. L’obiettivo è coniugare la ricerca dei feldspati, utili alla grande industria ceramica, purtroppo dislocata oltre Tirreno, e la “valorizzazione” economica di quella montagna di sfridi di “rocce ornamentali granitoidi”. Di punto in bianco quello che doveva essere un piano di riciclo di materiali di scarto legati alla lavorazione della nobile pietra di Gallura si è trasformato in una sfida mondiale.

I segreti “rari”

I documenti del “Tavolo tecnico Materie Prime Critiche” del Ministero delle Imprese, quello che fu dell’Industria, in base all’articolo sei del decreto istitutivo, sono secretati. Le mappe sono blindate, come fossero uno scacchiere da guerra mondiale, quella delle “terre rare”. I pallini rossi sono dislocati in aree predestinate, da sempre miniere per estrarre ogni genere di pietra o cave da svuotare a colpi di candelotti. Le coordinate in mano ai “servizi segreti minerari” sono circoscritte. In Sardegna, oltre alle dighe sterili del Sulcis e alle Terre Rare della miniera di Silius, c’è un cerchio imponente nell’area “granitica” di Buddusò.

Dossier Buddusò

Non ci ha messo molto la Task Force mineraria ad aprire il dossier delle nuove terre promesse. Il piano è messo nero su bianco dall’Università di Ferrara. L’analisi al microscopio parte con il progetto “Recycling of granite scaps ”, “Riciclo di sfridi di granito”, finanziato con i fondi europei Life.

La scoperta

Quando capiscono che in quei materiali c’è ben altro, la guerra in Ucraina e lo scontro sulle materie rare hanno già toccato un punto di non ritorno. I nomi e i cognomi di quelle sostanze emergono uno dietro l’altro, come uno scioglilingua chimico-mineralogico. Sigle e codici mai sentiti prima, in terra di Sardegna. Tutti minerali, però, contenuti nell’elenco vergato dall’Ursula europea, la dama Von der Leyen, la Presidente della Commissione europea chiamata a gestire la Transizione energetica in tempo di guerra, quella vera.

La svolta

Da qui nasce il secondo e decisivo progetto targato Buddusò: “Waste treatment: reperimento di Critical Raw Materials dalle discariche di sfridi di rocce ornamentali granitoidi”. Un piano a pieno titolo già inserito nello scacchiere europeo di contrasto alla totale dipendenza, il 97%, dalle “Terre Rare” cinesi. I report sui tavoli ministeriali e comunitari riportano una definizione che non lascia adito a dubbi: nella cava di granito di Buddusò in Sardegna si trova uno dei più importanti potenziali giacimenti di materie prime critiche in Europa. Lo studio è esplicito nella premessa: cercavamo feldspati.

Allanite superstar

Scrivono i ricercatori: «I graniti di Buddusò, secondo gli studi condotti dall’Università e finanziati dal progetto europeo sono composti per l’80%-85% di quarzo e feldspati, materie utilizzate per il comparto della produzione di ceramica e del vetro». È il passaggio successivo ad esplicitare l’imponenza della scoperta: «Inoltre contengono anche buone percentuali di Allanite, un minerale magmatico raro che si caratterizza per essere ricco di Terre Rare (Lantanio, Cerio, Praseodimio, Samario e Neodimio) e anche quantità di Ferro, Tantalio e Niobio. Questi graniti si distinguono da altri per contenere anche concentrazioni utili di Germanio e Gallio, elementi importanti per la produzione di componenti della green economy come ad esempio pannelli solari». Un vero e proprio nucleo mineralogico le cui dimensioni sono ancora sconosciute, ma che possono riservare risultati sorprendenti. I ricercatori di Ferrara non si sbilanciano sui filoni che possono contenere quel tipo di graniti e di materiali, ma è evidente che la geologia ha una continuità fisica e quella scoperta non può essere solo un’isolata casualità.

Giacimento “raro”

Sono le quantità, infatti, ad attribuire alle “discariche” granitiche di Buddusò una dimensione rilevante su scala europea e non solo. Nei graniti di Buddusò, composti per l’80%-85% di quarzo e feldspati, infatti, sono emerse quantità rilevantissime di minerali definiti di elevato interesse tecnologico. Il primo e più importante segnale è la presenza in quelle pietre di una percentuale elevata, sino al 15%, di Allanite, un minerale magmatico raro, ricco di Terre Rare, dal Lantanio al Cerio, dal Praseodimio al Samario e Neodimio. In quegli stessi campioni non mancano interessanti quantità di Ferro, Tantalio e Niobio, con ragguardevoli concentrazioni utili di Germanio e Gallio. È proprio quella rilevante quantità di Allanite rinvenuta nella cava oggetto di studio, con tutte le sostanze collegate, ad attribuire alle discariche degli sfridi di Buddusò un valore inesplorato che sta aprendo una finestra inedita sullo scacchiere internazionale delle “Terre Rare”. È presto, però, per affermare che questa abbondanza riguardi tutto il granito sardo, ma le potenzialità, oggi più che mai, saranno sottoposte ai raggi X.

Codice “genetico”

Il codice genetico-geologico dei corpi granitici in Sardegna, sempre a Buddusò o nel centro e nel sud dell’Isola, potrebbero avere la stessa potenzialità, ma secondo gli studiosi dell’Università di Ferrara non sono tantissimi. Il mirino europeo ora è puntato sull’Isola, con un dettaglio non di poco conto, la competenza costituzionale è tutta regionale. È fin troppo evidente, però, che in questa corsa alle Terre Rare non può e non deve prevalere l’ingordigia delle lobby energetiche, pronte a spregiudicate razzie ancora una volta sulla testa della Sardegna. Recuperare il paesaggio, riutilizzare gli scarti di granito per valorizzare le terre rare, ha un senso. Depredare il territorio è vietato, anche in tempo di guerra.

© Riproduzione riservata