«Gli uomini sono grandi, ma quando si trovano in determinate situazioni riacquistano dimensioni che non sono quelle abituali. Ebbi diversi colloqui con Mussolini. Parlai … mi parlò. Mi guardava con grandi occhi. Eravamo vicini, vicini. Ci siamo detti tante cose … Dio lo sa e voi pensatelo. Non lo ascolterete certo da me!».

Con queste parole, monsignor Salvatore Capula, del quale ricorrono oggi 23 luglio, i 25 anni dalla morte (1904-2000), parroco di La Maddalena per 64 anni, liquidò coloro che s’attendevano da lui rivelazioni inedite sui suoi colloqui con Benito Mussolini, prigioniero nell’estate del 1943, a La Maddalena-Villa Webber. E lo fece cinquantacinque anni dopo, precisamente il 10 novembre 1998, quando, nel Salone consiliare del municipio di La Maddalena, il sindaco Mario Birardi, ex parlamentare del PCI, gli conferì una medaglia d’oro per la sua lunga permanenza ed il suo operato nell’Isola.

Un tema questo, dei colloqui con Mussolini, che portò il parroco di La Maddalena sulla stampa nazionale e regionale, come quello, del resto, in piena Guerra fredda, del suo incondizionato appoggio alla presenza, nell’isola di Santo Stefano, della base americana per sommergibili a propulsione nucleare.

E sulla stampa nazionale Capula finì anche per le polemiche legate ai licenziamenti dei lavoratori di sinistra, negli anni ’50, presso l’Arsenale militare, per un’accusa di collusione, peraltro non dimostrata.

Se queste vicende potevano essere “pesanti” per un politico, figuriamoci per un prete-monsignore. Anche i suoi rapporti col Fascismo furono oggetto di discussione, e non senza motivo: nel 1938, giunse da Sassari, al podestà di La Maddalena, una missiva riservata, con la quale si chiedeva «con urgenza e massima precisione se il sacerdote Salvatore Capula abbia tenuto (quando e come) un comportamento avverso al Regime ed al Partito». La risposta del segretario del Fascio di La Maddalena fu la seguente: «Non risulta che il sacerdote Salvatore Capula, parroco di questa sede, abbia mai tenuto contegno avverso al Regime. Risulta, invece, che il suo contegno nell’esercizio del culto, oltre ad essere improntato ad un regime di vita molto modesto ed umile, ha dato prove luminose di essere non solo patriottico ma simpatizzante, senza restrizione, verso il Regime».  

Non è superfluo tuttavia ricordare che, all'epoca, molti, in Italia, erano fascisti e che il Papa aveva definito Mussolini: «Uomo della Provvidenza».

Il dopoguerra vide monsignor Capula in prima linea nella difesa del mondo occidentale, immerso appieno nel clima della Guerra fredda. «La Chiesa non appoggia né demonizza alcun partito politico ma avendo una propria visione dell’uomo e della storia non può rimanere indifferente verso concezioni della persona umana, della famiglia, del lavoro, dell’economia, della scuola, dell’assistenza e della società in genere che contrastano chiaramente con la vita evangelica». Una considerazione scritta ai tempi nei quali Capula si contrapponeva, con forza, al Comunismo, attraverso la scelta, allora per lui obbligata, senza alternative, in campo politico, della Democrazia Cristiana e dei suoi uomini (da Antonio Segni a Nino Giagu a Francesco Cossiga in campo regionale, dei quali, a La Maddalena, fu insostituibile punto di riferimento).

Alla luce di tutto questo, sembrerebbe che Capula sia stato solo un “politico” immerso, se non coinvolto, nelle “cose temporali”. Ma non è stato così o solo così.

Formidabile organizzatore, dotato di carisma, ha convertito alla fede cattolica migliaia di maddalenini ed anche non pochi militari.

Un sacerdote che ha anche coinvolto molti giovani nell’Azione Cattolica e nelle sue attività, che «visitava frequentemente gli scalpellini che lavoravano a Cava Francese - ha scritto il suo successore don Domenico Degortes – che era vicino ai pescatori, allora poveri e sfruttati, che si interessava dei fanciulli nelle associazioni e nelle colonie dando da mangiare, in tempo di fame, a due o trecento bambini. Seguiva molte famiglie povere. Ed è nota la sua brillante attività sacerdotale nei difficili anni della guerra e il suo zelo pastorale nel ricostruire e guidare la comunità nel dopoguerra. Mons. Capula sacerdote è stato sempre così?», si è domandato anche don Degortes. La risposta: «Ho l’impressione che forse, con l’accostamento al potere e col sopraggiungere degli anni, il suo sacerdozio abbia brillato di meno, ma non per questo cessa di essere un grande».

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