Un via vai quotidiano, sterminato, infinito, migliaia di tonnellate di fanghi fognari dalla Puglia alla terra della Malvasia. Un serpente di camion stracolmi di tanfo e “rifiuti”, come li classifica la legge. Una scia puzzolente, dall’estrema Puglia, lungo lo Stivale, sino a Livorno, per attraversare il Tirreno sui traghetti di linea, come una carovana galleggiante di melma putrida, destinata all’Isola dei profumi, del lentischio e del mirto. Un traffico silenzioso, un affare ciclopico, milioni di euro in cambio di uno smaltimento tanto impattante quanto sospetto. Tutto destinato a quel lembo di terra dove gli avi hanno costruito nei secoli, con sapiente maestria, il frutto più pregiato della Planargia, la Malvasia di Bosa. Il silenzio su un’autorizzazione rilasciata con un rigore carnevalizio aveva impedito di prevenire l’incubo che si stava per abbattere su quel quadrilatero di colline e vigneti, tra Magomadas, Flussio, Tresnuraghes e Tinnura.

Schiaffi di tanfo

Non ci volevano credere gli abitanti di Magomadas quando, per primi, hanno sentito levarsi in volo tra le loro case schiaffi violenti di tanfo concentrato, come una manata in pieno volto. Non avevano mai visto un dispiegamento così massiccio di contraeree di mosche, pasciute come se non ci fosse un domani tra i fanghi fognari della Puglia, arrivati chissà per quale nefasta ragione in quella pacifica e illibata terra di Planargia. Eppure, era tutto maledettamente vero. Magomadas in un attimo trasformato in simbolo di una terra violata e violentata con lo sfregio più insulso che si potesse infliggere a quell’angolo di Sardegna battuto dal sole e dal vento, plasmato da una costa esclusiva e mai oltraggiata dal turismo selvaggio.

Nettare degli Dei

Le proteste non hanno tardato a levarsi, prima silenziose e circospette, timide e preoccupate, come se si temesse di sollevare il coperchio del misfatto, e poi sempre più decise, consapevoli dell’aggressione che si stava consumando al futuro di quella terra, alle ambizioni turistiche e al rispetto di quella secolare tradizione legate a quel nettare degli Dei. Mario Soldati, il Piero Angela degli anni ’60, cultore universale dei vini d’Italia, non usò perifrasi per descrivere quel ben di Dio che si produce in Planargia. Per lui la Malvasia era «luminosa, finissima, leggera, setosa, profumata, saporosa di rosa e ginepro. Soprattutto completamente secca». Non erano bastate quella storia e le illuminate produzioni vitivinicole scolpite nelle cantine secolari a fermare lo scempio che si stava consumando nel silenzio più totale di istituzioni e non solo a ridosso del paesino di Magomadas. Si percepivano ammiccamenti, sostegni di lobby e apparati regionali, ma l’incedere del disagio tra i cittadini a un certo punto non ha guardato più in faccia a nessuno.

Video prova

I video, quelli “trafugati” nelle campagne della Planargia, erano molto di più di una prova. Erano la dimostrazione che quel fango fognario, carico di ogni sostanza, stava finendo in un modo o in un altro nei terreni agricoli. Buche scavate con tanto di escavatore in pieno campo, camion pronto al misfatto, seppellimento o spargimento. La tecnica variava, ma il risultato era sempre lo stesso: rifiuti inquinanti in mezzo al campo. La tensione è alle stelle. Al Presidente del Comitato Ambiente Planargia, Franco Secchi, gli radono al suolo una storica vigna di malvasia. Vitigni recisi come un atto di guerra, forse, per aver denunciato a voce alta quel misfatto. Quel traffico di camion carichi di fanghi fognari pugliesi sale e scende dal tacco dello Stivale sino al cuore della Malvasia. La provincia sembra indirizzata alla revoca dell’autorizzazione concessa con troppe distrazioni, avvia ufficialmente anche l’iter della revoca per quell’impianto di trattamento per 80.000 tonnellate annue di fanghi fognari, peccato che gli unici affluenti fossero quelli pugliesi. Non succederà niente.

Irrompe la Procura

Sino a quando in terra di Malvasia non irrompe la Procura di Oristano. È la svolta decisiva. Senza tergiversare, senza mezzi termini, dispone il sequestro immediato di quell’impianto della Geco, la società destinataria di fanghi e soldi, decine e decine di migliaia di metri cubi di fanghi fognari e milioni a gogò. Fanghi-rifiuti provenienti direttamente dai depuratori di Bari, Barletta, Taranto e tanti altri impianti sparsi lungo quella regione d’oltre Tirreno. Un colpo letale a quella violenza inferta ai cittadini di Magomadas e dintorni, ostaggio da quasi un anno di un invasivo tanfo nauseabondo, contraeree di mosche aggressive e, persino, l’arroganza dispiegata a piene mani dagli importatori “sardi” di fanghi fognari pugliesi. Un giovane Procuratore, Marco De Crescenzo, con l’intera struttura inquirente della Procura oristanese, aveva da tempo osservato, seguito, ascoltato e valutato quel che stava accadendo ai confini estremi della Provincia.

Pesticidio turbolento

I riflettori dei magistrati su quel “pesticidio turbolento” che stava togliendo il sonno ad un’intera comunità, con proteste che montavano anche nei centri contigui, da quel momento, non si erano mai spenti. Sino al provvedimento emesso nei giorni scorsi dalla Procura della città che fu della Giudicessa Eleonora D’Arborea. Fatti e misfatti, tutti a processo. Nel “Decreto di Citazione a Giudizio” per l'udienza di comparizione predibattimentale Marco De Crescenzo, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Oristano, non tralascia nemmeno le virgole. I capi d’imputazione sono circoscritti con dettagli sino ad oggi inediti, puntuali e certificati. Unico imputato è Leonardo Galleri, classe 1972, di Tresnuraghes, amministratore unico della Geco srl, la società che ha legato la sua attività proprio a quel “fangodotto fognario” tra la Puglia e la Planargia, in terra di Sardegna.

J’accuse del P.M.

Le accuse sono scandite da codice penale e ambientale. Le violazioni sono circoscritte, gravi e senza fronzoli: «Nella sua qualità di amministratore unico della GECO Sr.l., società che, in forza dell'autorizzazione della Provincia di Oristano del 2018, gestisce un impianto di trattamento rifiuti, sito a Magomadas in Zona Industriale, loc."San Pietro" autorizzato a ricevere fanghi di depurazione e a trattarli mediante essiccazione miscelazione con i residui della frantumazione degli inerti, ai fini della produzione di ammendante per l'agricoltura, sversava in tre terreni in agro di Tinnura e Magomadas». I dati contenuti nell’accusa sono dettagliati: «In uno dei tre terreni, quello di Magomadas, nella proprietà/disponibilità della GECO S.r.L, - sono state versate - complessive 7.013 tonnellate di fanghi di depurazione miscelati con residui di frantumazione di inerti, da considerarsi a tutti gli effetti di legge "rifiuti" (speciali non pericolosi) e non "ammendante", in tal modo effettuando uno smaltimento illecito degli stessi».

Rifiuti, non vitamine

Insomma li spacciavano come ammendante agricolo, invece, secondo il procuratore erano sempre e solo “rifiuti”. Scrive il magistrato nell’atto d’udienza: «La sostanza sversata nei predetti terreni va considerata “rifiuto" e non "ammendante». Marco De Crescenzo non si accontenta di qualificare “rifiuti” quei fanghi, ma ne declina puntualmente il motivo: «La GECO non aveva ottenuto dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali l'autorizzazione alla sua commercializzazione o comunque la registrazione del prodotto, necessaria ai fini della commercializzazione. Il medesimo materiale non può essere definito ammendante compostato" in quanto comprendente, quale componente essenziale ed anzi maggioritario, materiali non organici (inerti da demolizioni). Né può essere considerato frutto di un processo di "compostaggio" in quanto comprendente anche materiali non organici».

Intruglio vietato

La sintesi è estrema: un intruglio carico di ogni genere di sostanze tutte vietate. Racconta il provvedimento: «i residui della frantumazione di inerti miscelati con i fanghi contenevano elementi non consentiti dalla legge e dall'autorizzazione provinciale (inerti non ricadenti nel CER 170504; residui di cemento, ceramica, laterizi, materiali plastici, ed in generale frammenti litoidi, di granulometria maggiore di quella consentita)». Senza troppi sofismi il provvedimento giudiziario focalizza il misfatto: «tale sostanza è stata sversata nei terreni in oggetto senza alcuna ragione di natura agronomica ma al solo scopo di disfarsene, scopo che qualifica la sostanza come rifiuto». Altro che ammendante agricolo. Secondo la Procura, l’unico obiettivo era far sparire fanghi e detriti, tutto miscelato come se il mix potesse dissolvere il reato. Ma non è finita: il secondo capo d’imputazione riguarda la salute umana.

Vita impossibile

E gli inquirenti lo scrivono: «Mediante la gestione dell'impianto di Magomadas ed in particolare mediante la ricezione, il trattamento e la custodia dei fanghi di depurazione (sia "puri" che miscelati con i residui di frantumazione degli inerti), diffondeva nell'area circostante l'impianto, ivi compresi i centri abitati di Magomadas, Tresnuraghes, Flussio e Tinnura, emissioni odorose nauseabonde, che creavano agli abitanti dei predetti paesi rilevanti molestie e fastidi e in alcuni casi anche problemi di salute, tali da costringerli a modificare le proprie abitudini di vita, ovvero ad evitare di stare all'aperto e a chiudere le finestre delle proprie abitazioni (anche a causa dell'anomala e massiccia presenza di grandi mosche, ricollegabile anch'essa all'attività dell'impianto Geco)».

Otto giugno a giudizio

Il provvedimento della Procura indica anche le persone e i soggetti che potranno costituirsi parte civile a partire dai Comuni di Magomadas, Tresnuraghes, Flussio, Tinnura. Ritenute danneggiate dal reato anche il Comitato Acqua Bene Comune Planargia e Montiferro, Italia Nostra Sardegna Onlus e il Comitato dell'Ambiente Planargia. L’udienza di comparizione predibattimentale è fissata: 8 giugno 2023, ore nove, Tribunale Penale di Oristano, Giudice Marco Mascia. La fognopoli di Magomadas ora è a giudizio.

© Riproduzione riservata