«Anche gli spaghetti hanno un'anima, anzi due: una gliela diamo noi con la passione nel far le cose per bene; l'altra ne assicura la consistenza in cottura». Lucina Cellino, pasta Di Sardegna, ci crede davvero: «A volte, quando vedo sfilare i pacchetti, mi commuovo, perché penso che andranno sulla tavola di una famiglia». Chissà che succederà quando debutteranno nel mercato gli 'spaghettoni trafilati al bronzo, proteine 14', autentica bomba, solo per boutique, roba in cui l'Albertone di 'Macaroni, io me te magno' si tufferebbe a pesce.

Bisogna capirla questa signora (molto femminile) mentre parla, con un filo di ironia, delle sue creature. Nella lunga teoria di scatole delle macchine confezionatrici vede scorrere la vita di due generazioni, un'avventura imprenditoriale iniziata, oltre 50 anni fa, dal padre, Ercole Cellino, dipanatasi tra successi e tragedie. Il risultato è oggi un gruppo di imprese nate in famiglia: pasta Di Sardegna e mulino Simec a Cirras, zona industriale di Santa Giusta (Oristano), che gestisce col fratello Alberto; Cogefar (costruzioni) di Giorgio; Cagliari calcio, di Massimo. Rossella, invece, è medico nel Veneto.

Tutto è iniziato, quasi per caso, nel 1957, quando Ercole Cellino, giovane rampollo (26 anni) di Alba (Piemonte) conosce a Mondovì Fanny Silesu, di Sanluri (nipote di Lao, grande musicista) in vacanza col fratello. Colpo di fulmine, matrimonio dopo un anno. Ercole è nato da famiglia benestante, ma il padre Benvenuto, bon vivant , gli ha lasciato solo debiti. A 20 anni era già capofamiglia, con un fratellino di 13. A Mondovì gestisce una scuola guida, un autosalone e un distributore di benzina. Dopo un anno di matrimonio, complice il mal di Sardegna di Fanny, la coppia si trasferisce a Sanluri, dove Ercole collabora con lo zio della moglie, Stanislao Silesu (Lauccio). Per qualche tempo, batte il Campidano alla guida di un camioncino, comprando cereali, ma presto si mette in proprio: «Aveva sempre un grande entusiasmo, ma era anche modesto, equilibrato. E generoso. Quando si trasferì in Sardegna, lasciò tutto al socio».

Nell'Isola Ercole ha modo di appagare la sua passione per l'agricoltura: «Era determinato, riusciva sempre a portare a termine ciò che voleva». Commercia in grano e farina. All'epoca, ne importava dalle aziende piemontesi Fumero e Chiavazza. In quantità sempre maggiori, finché costruisce il primo mulino a Sanluri. Così, nel '68, inaugura la Stipar (Società trattamento industriale prodotti agricoli raccolti). «Era molto fiero di quella sigla». Il lavoro aumenta. Nel '75, acquista dalla famiglia Merello (marchio storico di Cagliari) la Sem di viale La Plaia, in società con Benigno Brai. Sono anni difficili, imperversa il banditismo: Brai viene rapito a Giba, non tornerà più a casa. «Quella terribile vicenda ha sconvolto la nostra famiglia. Lettere anonime e minacce ci costringevano a cambiare stile di vita. Avevamo paura, giravamo scortati, usavamo parole d'ordine. Per proteggere i figli, mio padre ha mandato Massimo in Australia, Giorgio in Francia, Alberto in collegio a Treviso. Solo io e mia sorella restammo in Sardegna».

Quel periodaccio lascia il segno: «Ancora oggi, se viaggio di notte, non sono serena». Ricordi di un'epoca in cui il pericolo di perdere la libertà era un'angoscia indicibile per chiunque fosse appena benestante. Il rischio sequestri limitò lo sviluppo dell'Isola, soprattutto nelle zone interne, dove molti erano costretti a vivere blindati. Anche i Cellino subiscono l'involontario esilio in casa propria, ne sono condizionati. Lontani i fratelli, Lucina decide di inserirsi nelle attività di famiglia: «Avrei voluto studiare architettura, ma a vent'anni divento amministratore delegato della Sem». C'è parecchio da fare: «Mio padre era benvoluto dagli agricoltori, la sua attività in continua espansione, e lui si vantava di “fare il mercato” del grano duro». Temperamento vulcanico, Ercole ai cereali aggiunge l'attività edilizia, crea la Cogefar. «Nonostante il gran daffare, era un padre presente, tutti i giorni verificava come andavamo a scuola. Lo ricordo a tavola, mentre ci interrogava sulle tabelline. Anche più avanti, lo abbiamo avuto sempre accanto: se uno di noi era in difficoltà, mollava tutto».
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