Ha dato la caccia a pericolosi latitanti mafiosi, partecipato alle indagini sui sequestri in Sardegna per poi finire la sua carriera nella Polizia di Stato nel nucleo di protezione dei collaboratori di giustizia a Cagliari. Dal primo gennaio Antonello Caria, agente cagliaritano di 60 anni, è in pensione. Nei suoi quasi 42 anni di servizio ha rischiato la vita, soprattutto negli anni della sanguinosa lotta a Cosa Nostra: «Era come trovarsi in trincea. La lotta alla mafia era una guerra. Soffrivi e condividevi il pericolo con i colleghi. Uscivi la mattina e non sapevi se saresti rientrato a casa la sera. E avevi paura di morire», spiega Caria.

Tantissimi i ricordi nella sua lunga carriera. E tanti i nomi che non dimenticherà mai. In Sicilia, al nucleo investigativo antimafia della squadra Mobile di Palermo ha vissuto gli omicidi di Beppe Montana, Salvatore Marino e di Ninni Cassarà. «Cassarà è stato un padre e fratello maggiore per tutti noi. Il giorno in cui è stato ammazzato sarei dovuto andare con lui. All’ultimo sono rimasto in ufficio. Avevo 23 anni e non ho più conosciuto nessuno come lui». Anni di indagini e caccia di latitanti, con mesi di appostamenti rinchiuso in un furgone per osservare e fare foto di battesimi, matrimoni, funerali di mafiosi e delle loro famiglie.

Nel suo passato la scorta al giudice Falcone, incontrato anche all’Asinara quando Falcone e Borsellino scrissero gran parte dell’ordinanza del Maxi Processo alla Mafia. «I magistrati, con i collaboratori di giustizia, alla fine hanno vinto», evidenzia Caria. Poi il ritorno in Sardegna e le indagini su omicidi e sui sequestri di persona come quelli di Giuseppe Vinci, Mira Furlanetto e del piccolo Farouk: «Come sardo mi sono vergognato per il taglio dell'orecchio di un bambino».

Ora la pensione. Ma continuerà a portare avanti progetti di legalità e manterrà il suo impegno sindacale nel Siulp. «Ai giovani dico di credere sempre in se stessi e nei valori della legalità».

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