L'annuale rapporto della Svimez sull'economia delle regioni meridionali (e quindi anche della Sardegna), appena pubblicato, offre un'interessante chiave di lettura delle cause che rendono assai debole, in tutta l'area, il superamento degli effetti della pesante crisi recessiva che ne ha fortemente intaccato le capacità produttive. Attribuendoli soprattutto all'effetto congiunto di due fenomeni negativi: da un lato il pericoloso rallentamento nei consumi, soprattutto per la parte riguardante la spesa delle famiglie, e dall'altro il fermo quasi totale degli investimenti, per via della stasi nella domanda e delle forti difficoltà nell'accesso al credito bancario.

Tutta l'economia meridionale appare quindi su un declivio che non sembra avere fine. La crescita del Pil - dice il rapporto - è a meno 10 per cento, mentre al Centronord è a meno 4 per cento. Il che vuol dire che in questi pochi anni il divario tra Nord e Sud è ancora aumentato. E per il 2019 si prevede un'ulteriore frenata dello sviluppo in tutta l'area del Mezzogiorno per via dello spread a 300 punti.

Gli effetti più negativi sono poi testimoniati dalla fuga dei giovani: negli ultimi diciotto anni, dice sempre la Svimez, quasi due milioni di giovani meridionali hanno abbandonato il nostro Paese. Si tratta di una perdita gravissima, che pregiudica e condiziona pesantemente il futuro dell'intero Paese.

Di questi effetti negativi anche la Sardegna - o soprattutto la Sardegna - ne ha sofferto e continuerà purtroppo a soffrirne.

E ciò per via dell'estrema fiacchezza del suo sistema produttivo, minato da una decrescita sempre più pericolosa e dalla scomparsa quasi totale degli investimenti. Non a caso proprio quest'involuzione dell'economia ha portato al regresso del prodotto pro capite che, percentualmente rispetto al Centronord, è sceso in questi ultimi anni dal 75 al 61% (in valore è oggi 19mila euro contro 32mila). Mentre il tasso di disoccupazione giovanile risulta di 20 punti percentuali superiore.

In quest'analisi degli economisti della Svimez, la nostra Isola non è certo l'ultima fra le regioni meridionali, ma non è neppure fra le più virtuose. Appare infatti gravata sempre più da un'economia in pesante sofferenza, caratterizzata da un costante regresso del prodotto interno lordo, sia in agricoltura che nell'industria. Un vulnus che ha provocato una crescita sempre maggiore del tasso di dipendenza dall'esterno, tanto da far sì che oggi ogni 100 euro della spesa di un sardo, ben 82,4 vadano a prodotti importati. Con il risultato che la nostra bilancia commerciale mostra degli squilibri da paese terzomondista.

Ed è poi questo il problema più grave che si ha di fronte e che ripropone l'attualità, all'interno di una nuova questione meridionale, di una immanente "questione sarda", che attende d'essere affrontata. Con forte decisione e con idonee risorse.

In quest'ottica non appare più peregrina l'idea di ridare attualità a qualcosa che somigli all'intervento straordinario (tipo Casmez anni '50), che un ministro leghista del bilancio volle improvvidamente sopprimere una ventina d'anni or sono, per ragioni di partito.

Certo, si tratta d'una "questione" che oggi abbisogna, per essere risolta, di progetti e di strumenti differenti da quelli del passato, poiché il quadro economico mondiale da allora si è profondamente modificato. Anche se si mantiene valido l'obiettivo finale da conseguire, che è poi quello di avvicinare sempre più il reddito d'un sardo a quello di un lombardo o di un toscano.

Ora, promuovere e sostenere la crescita delle attività produttive (nell'industria, nei servizi e in agricoltura) rimane pur sempre lo strumento ottimale, sul quale la Regione dovrebbe svolgere un ruolo primario. Mettendo insieme tutte le risorse disponibili dalle diverse fonti (europee, nazionali e regionali) e predisponendo un organico piano di sviluppo che promuova dall'interno e richiami anche dall'esterno delle iniziative innovative che mirino ad ottenere un deciso incremento del nostro prodotto interno, oggi fermo attorno ai 31 milioni di euro.

Si riuscirebbe così, come insegna un detto popolare, a prendere due piccioni con una fava: riuscire a correggere i penalizzanti squilibri del nostro import-export e, contestualmente, a porre un deciso freno alla fuga dall'Isola dei nostri migliori giovani. Con il risultato di poter vedere la Sardegna rifiorita, ritornando ad essere, come mezzo secolo fa, una Regione "en marche".

Paolo Fadda

(Storico e scrittore)
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