Emmanuel Carrère scrive un capolavoro, "Io sono vivo, voi siete morti", biografia dello scrittore Philip Dick che con Asimov rimane il riferimento principe dei romanzi di fantascienza. Possiamo contare dunque su questa guida mostruosamente intelligente per addentrarci nell'indagine del mondo reale deviante e nelle paranoie, nei deliri e nelle visioni schizoidi dei libri di cui Dick fu vittima terminale più che autore. Un futuro gotico, marziano, allucinogeno.

Eppure, secondo me, nessuno come il romanziere William Gibson è riuscito ad anticipare e puntualizzare il mondo che ci aspetta, non solo concettualizzando l'impatto terrificante delle nuove tecnologie, ma soprattutto approfondendo gli aspetti sociali derivanti. "Neuromante", "Giù nel Ciberspazio" e "Monna Lisa Overdrive", la trilogia che l'ha reso famoso, e il mio preferito, "Luce Virtuale", raccontano di umani innestati con tecnologie meccaniche e cibernetiche, del sottostrato digitale che diventa mondo reale a se stante, della potenza devastante della cultura cyber che non inventa ma riflette plasticamente lo scenario che si sta apparecchiando per noi. Un futuro che scardina qualsiasi paradigma attuale, perché niente come la tecnologia costringe a cambiare, ad adattarsi, a rifondarsi.

Ancora più interessante rimane però la descrizione di una società nella quale, a ben leggere, il fattore dominante è la dissoluzione delle istituzioni, esemplificata dalla metafora del crollo del Golden Gate Bridge che attraversa la baia di San Francisco.

In realtà il ponte non collassa ma, pericolante e zoppo, viene chiuso indefinitamente. Su questa struttura rischiosamente in bilico nasce una comunità di spostati, una città di fuoriusciti che rappresenta l'adattamento spontaneo del nuovo mondo, privato dei punti fissi di riferimento: gli stati, le leggi, la politica, la religione, i vecchi valori, le obsolete energie. L'Istituzione con la maiuscola non esiste più, si è sgretolata sotto le spallate del terremoto che è anch'esso la metafora di uno stravolgimento non controllabile dagli attuali sistemi. Le strutture, gli impianti, i ponti e i collegamenti sono infatti più fragili di quanto possiamo immaginare, e destinati a cedere di fronte all'esplosione dell'entropia che con cunei improvvidi continuiamo noi stessi ad alimentare.

Nei romanzi di Gibson, in un momento imprecisato, schiacciata dal proprio peso e non abbattuta dallo tsunami, la torre di Babele è crollata: l'utopistica costruzione ha semplicemente superato i limiti di chi l'ha costruita e si è afflosciata come una torta mal lievitata. E il mondo si è ricombinato in formati diversi: non più stati e sovra nazioni ma multinazionali, organizzazioni diversamente criminali e comunità spontanee, non più monete e banche ma crediti digitali, non servizi pubblici ma micro privati, non un rigido sistema sociale, ma un adattamento fluido e continuo. Su tutto, la tecnologia mette un suggello e un cancello tra chi è dentro e chi è fuori, è questa la discriminante.

Possiamo ora reagire in due modi: rimuovere Carrère, Dick e Gibson (chi li ha letti?) e continuare a vivere come sino a oggi; oppure riconoscere agli artisti veri e sensibili, non ai tarantolati dal potere e dal soldo, un istinto anticipatorio e predittivo. E dunque riflettere sul crollo delle istituzioni che stiamo perseguendo con la testarda e irragionevole determinazione dell'homo sapiens che tutto distrugge attorno a sé.

Se leggiamo bene la situazione, infatti, camminiamo già in un mondo "post". Non abbiamo uno, ma due Papi, e l'ultimo già delegittimato e combattuto; la Chiesa mostra crepe e derive che minano la fede; la religione segue ormai la moda del politicamente corretto; l'Europa sta collassando, piegata dalla finanza, dai burocrati e dai tedeschi; la politica lavora di sega, ogni giorno, per recidere il ramo su cui è abbarbicata come un lichene; la democrazia latita, la costituzione è tirata per la giacca, un tessuto elastico coprente; le banche hanno perso la cosa più preziosa, il credito; la formazione è diventata uno stanco parcheggio; la criminalità controlla intere regioni; la giustizia, il popolo e il bene pubblico...

Che cos'è il bene comune?

No, non consiglio Gibson, fa male conoscere il proprio futuro. Ma, datemi retta, armiamo di remi questa nostra Sardegna e allontaniamoci nel mare il prima possibile, via.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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