In Sardegna non ci sono più «sequestri di persona» ma è ancora presente una «certa visione distorta della balentia». Preoccupano la violenza tra «i minorenni» e la droga. In ogni caso l’Isola è «una realtà relativamente tranquilla» dove manca la presenza mafiosa, pur dovendo fare attenzione alle «alleanze tra malavita locale e associazioni calabre e campane». Il sistema criminale di Cosa Nostra, invece, «non è immediatamente esportabile» dalle nostre parti.

Procuratore generale di Cagliari da un mese, Luigi Patronaggio ha un’idea precisa della situazione della giustizia sarda. Siciliano, 62 anni, a Palermo e Agrigento (dove era procuratore sino a poche settimane fa) si è occupato degli omicidi di padre Giuseppe Puglisi e del giornalista Mauro De Mauro nonché della latitanza di Totò Riina, Leoluca Bagarella, Gaspare Spatuzza, Giuseppe e Filippo Graviano; ha istruito in Appello i processi all’ex governatore Salvatore Cuffaro, all’ex senatore Marcello Dell’Utri, ai carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu; ha seguito i casi delle navi cariche di migranti costati in un caso il processo all’allora ministro Matteo Salvini. Ora si dice «onorato di servire la Giustizia in una terra fiera qual è la Sardegna. Metterò tutta la mia esperienza ed energia al servizio della collettività».

Procuratore, qual è la principale emergenza nell’Isola?

«Rispetto al panorama criminale italiano, in particolare del sud, la Sardegna è una realtà relativamente tranquilla. Forze dell’ordine e magistratura riescono a contenere gli episodi di criminalità. Gli uffici giudiziari sono in genere ben organizzati, tranne qualche eccezione legata alla mancanza di personale. Crea allarme sociale il traffico di sostanze stupefacenti, anche in forma organizzata e con la coltivazione di piantagioni di marijuana. Preoccupa la violenza urbana, coi minorenni sempre più spesso protagonisti e a loro volta non di rado vittime di reati via internet e a sfondo sessuale. Non vanno dimenticate forme di riciclaggio, speculazioni edilizie e abusivismo, specie in Costa Smeralda e in altri siti turistici».

C’è la criminalità mafiosa?

«No, ma attenzione a certe alleanze fra malavita locale e associazioni mafiose calabresi e campane. Invece il sistema di Cosa Nostra, la cui forza consiste nel permeare tutta la realtà sociale, politica e imprenditoriale di un territorio soggiogandolo con la forza della violenza e dell’intimidazione, fortunatamente non è immediatamente esportabile qui, dove il tessuto sociale è sostanzialmente sano».

C’è ancora il pericolo dei sequestri di persona?

«Da anni questa non è più terra di sequestri di persona e reati legati al mondo agro-pastorale. Una certa visione distorta della “balentia” quale stile di vita e atteggiamento personale resta in contesti culturalmente arretrati e a volte produce reati quali le rapine ai portavalori e fatti di sangue altrimenti non spiegabili».

Ha seguito casi politici di rilievo nazionale. Mai ricevuto pressioni?

«No, comunque le avrei rispedite al mittente. Oggi la “mala politica” più che esercitare pressioni coltiva canali preferenziali con la magistratura lusingandola con promesse di carriera e altri benefici. La formazione di lobby è uno dei maggiori problemi».

Si è detto indignato dal fatto che condannati per mafia continuino a far politica. In certi casi il valore delle sentenze è nullo?

«L’interdizione dai pubblici uffici per reati di una certa gravità non priva dei diritti politici e dalla libertà di manifestare il proprio pensiero; ma dovrebbe indurre il mondo politico, del quale comunque rispetto l’autonomia, a una certa cautela nel continuare ad affidare incarichi o a consultare i condannati in occasione di importanti appuntamenti elettorali. In ogni caso è questione etica e non giuridica».

Quali casi le hanno dato più soddisfazione e rimpianti?

«Ricordo la grande emozione umana e professionale per le indagini sull’omicidio di don Pino Puglisi in un contesto mafioso fra i più pericolosi come quello di Brancaccio a Palermo, ma anche l’enorme responsabilità nel condurre il primo maxi-processo a Cosa Nostra in provincia di Agrigento, conclusosi con 25 ergastoli per alcuni omicidi di mafia come quelli del carabiniere Giuliano Guazzelli e del piccolo Giuseppe di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino. Tendo a dimenticare appena conclusi i processi che ho istruito o celebrato, tuttavia mi dispiace constatare che la grande spinta di popolo e rinnovamento seguita alle stragi di mafia del ’92 e ’93 si è progressivamente esaurita».

Per la magistratura è un periodo di grave crisi. La riforma risolve i problemi?

«La magistratura non deve farsi imporre riforme dall’esterno, che spesso suonano come punitive, ma trovare al proprio interno forza morale, deontologia ed efficienza per essere e apparire autorevole. La riforma Cartabia, dove mette in campo importanti risorse economiche, informatiche e di personale per accorciare i tempi della giustizia, va nel senso giusto e deve essere sostenuta col massimo impegno. Ho dubbi sulla parte che penalizza l’attività del pm e apre la strada a una netta separazione delle carriere, a mio giudizio un falso problema».

L’Anm ha deciso di proclamare lo sciopero contro la riforma. È una scelta giusta?

«Non mi sembra corretta una così forte contrapposizione fra poteri dello Stato, occorre cercare il dialogo e il confronto nelle sedi istituzionali in modo da fare prevalere la scelta più giusta per rendere il miglior servizio al cittadino/utente della giustizia».

Il fascicolo personale è un modo per condizionarvi?

«È una sorta di “spauracchio”, per certi versi “insensato”, che serve solo a placare una parte dell’opinione pubblica. Una costruttiva attività di controllo da parte di Procure generali e Consigli giudiziari può invece frenare anomali e isolati comportamenti di pochi magistrati. La giurisprudenza più innovativa nasce sempre da decisioni controverse, come negli anni ‘60 coi Pretori civili che anticiparono l’emanazione dello Statuto del lavoratori. Valutare la qualità di un magistrato in base al suo conformismo alla giurisprudenza dominante mortifica il “diritto vivente” e non aiuta la società a evolversi».

Chi fa politica lascia la toga: è giusto?

«Sì. Come deve fare anche chi collabora coi Ministeri».

I referendum puntano alla responsabilità civile.

«Il cittadino non ha alcun concreto vantaggio dall’essere risarcito per un errore giudiziario dal magistrato piuttosto che dallo Stato. La responsabilità diretta viceversa comporta che il magistrato sia intimidito nell’azione e che di fronte a un imputato potente, o facoltoso, preferisca l’estrema cautela a un’azione conforme al dettato costituzionale secondo cui “la Legge è uguale per tutti”. Il rischio è avere una giustizia timida e difensiva, l’esatto opposto di efficiente e giusta».

È corretto consentire il passaggio di funzioni una sola volta nella carriera?

«È un progressivo avvicinamento alla separazione delle carriere, cui sono contrario. Occorrerebbe lavorare per una formazione culturale comune ad avvocati e magistrati in modo che i ruoli possano essere intercambiabili, come negli Usa e in Gran Bretagna».

I tempi della giustizia sono molto lunghi. La novità di imporre un limite è utile?

«Imporre paletti temporali, processualmente sanzionati, per i magistrati è uno stimolo ineludibile. Però va tenuto presente che i ritardi non sono imputabili solo a pm e giudici, dai rendimenti alti rispetto alla media europea, ma dipendono anche da strutture e risorse disponibili».

Molti ritengono si faccia un uso distorto del carcere.

«Il ricorso alla custodia cautelare è eccessivo ma spesso riguarda soggetti socialmente pericolosi. La popolazione carceraria in gran parte è costituita da extracomunitari o persone economicamente svantaggiate, i detenuti per corruzione o reati economici non superano lo 0,3 - 0,5 per cento del totale. Le celle italiane sono sovraffollate e spesso le condizioni di vita non sono degne di un Paese occidentale progredito. Tuttavia è il sistema nel complesso a non funzionare, non è in grado di assicurare rieducazione e reinserimento sociale».

Quanto resterà a Cagliari?

«La mia intenzione è onorare al meglio l’incarico fino alla prima scadenza naturale».

Ha la scorta per essere stato minacciato di morte. Valeva la pena fare le indagini che ha fatto?

«Ogni sacrificio che la professione mi ha imposto è sempre poca cosa rispetto all’onore di servire il Paese».

Andrea Manunza

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