«Oltre al dolore per la morte di nostro padre per Covid in ospedale, siamo costretti a convivere con quello di non aver mai avuto indietro la fede nuziale e nemmeno una spiegazione di cosa possa essere accaduto. Per questo abbiamo denunciato tutto ai carabinieri: vogliamo avere una risposta. Lo dobbiamo a nostro padre».

Valerio Manunta, il fratello Diego e la madre Maria Paola Sarigu non chiedono molto: vogliono sapere, in forma ufficiale, perché la fede che Giuseppe Manunta (Pino per gli amici di Elmas, dove ha sempre vissuto), morto lo scorso 3 novembre a 78 anni al Santissima Trinità per Covid, portava al dito sia sparita. «Non incolpiamo nessuno», specifica subito Valerio Manunta. «Si era in piena seconda ondata e il personale dell'ospedale lavorava in condizioni critiche. Ma è il sistema che non dovrebbe funzionare così. Basti pensare che gli effetti personali di nostro padre sono arrivati in una sacca con quelli di una donna».

Nessuna risposta

La famiglia si è così rivolta all'avvocato Gianluca Acquafredda. Le comunicazioni con l'Ats sono state a senso unico. «Le mail inviate dai familiari non hanno avuto risposte. Alla mia, lo scorso 15 febbraio, è arrivata una comunicazione in cui si diceva che sarebbe stata aperta una posizione con l'assicurazione per un eventuale rimborso. Poi più niente, nonostante i solleciti. La famiglia chiede una spiegazione. La struttura ospedaliera è venuta meno agli obblighi di custodia degli effetti personali del paziente che non poteva badare a se stesso e ai suoi beni».

La disperazione

La morte di Giuseppe Manunta è avvenuta purtroppo come tante altre: la febbre, il ricovero nel reparto di Pneumologia del Santissima Trinità, il tampone positivo e nel giro di poche settimane il peggioramento. «Da quando è uscito di casa per andare in ospedale su un'ambulanza, non lo abbiamo più visto. E l'ultima volta che l'ho sentito al telefono», spiega il figlio Valerio, «diceva di non respirare. Mi ripeteva: vieni a prendermi». Poi il 3 novembre, la morte. «Quando ho ricevuto gli effetti personali di mio padre mi sono ritrovato anche indumenti femminili. Ci sono voluti giorni per avere la sacca con tutto quello che era di mio papà. Mancava la fede. Un'infermiera, informalmente, ci ha detto che la indossava ancora prima che venisse cremato. Ma dopo la pratica, non sono stati ritrovati residui metallici. Non ci arrenderemo fino a quando non riceveremo una spiegazione di cosa sia accaduto. È come se avessero sputato sul corpo di mio padre e sui 47 anni di matrimonio con mia madre».

Matteo Vercelli

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