Non servono i nuclei speciali dei Ris. Le impronte digitali in questo caso hanno nome e cognome in calce. Per scoprire chi ha scritto il capitolo 2.5 del testo "riservato" del Recovery Fund di Palazzo Chigi basta conoscere il cane a sei zampe e il suo modus operandi. Il più petrolifero degli enti di Stato sguazza nell'oro nero ma non ha mai disdegnato far soldi con l'energia rinnovabile. Eni e trino, stando ai progetti che la società che fu di Enrico Mattei è riuscita ad infilare dentro questo piano di Stato da 196 miliardi di euro. Non si è certo ingegnato per un progetto energetico serio e degno di questo nome da destinare all'Isola di Sardegna, da sempre terra di conquista, depredata di risorse economiche, ambientali ed energetiche. Questa volta l'Eni, il soggetto che più di tutti si è battuto per tenere la Sardegna isolata dal metano, mette in capo alla Sardegna un progetto da surfista energetico, alla ricerca di nuovi incentivi e denari pubblici a gogò, in questo caso direttamente dal salvadanaio europeo.

Nome in codice

Nel piano del Recovery Plan lo hanno scritto in codice, rigorosamente anglosassone, giusto per tentare di farlo passare inosservato nel ginepraio di sigle e acronimi. Sistemi ISWEC, Inertial Sea Wave Energy Converter, in poche parole Convertitore di energia inerziale delle onde marine. Il maggior inquinatore dell'Isola, come attestano condanne e bonifiche mai fatte, adesso si candida a calare in acqua 80 piattaforme galleggianti da piazzare in mezzo al mare sardo per sfruttare il moto ondoso. Roba da non credere, come se alla Sardegna servisse energia da onde marine, poca e per niente strategica. Niente a che fare con un progetto energetico in grado di abbattere il gap infrastrutturale generato da uno Stato strabico e incrementato da scorribande di speculatori di ogni genere. E non è un caso che il capitolo di questo stravagante progetto sia inglobato in un titolo che si commenta da solo: «Piano energia per la Sardegna e le piccole isole».

Trattati come le Egadi

Cosa c'entri la Sardegna, 24 mila chilometri quadrati, con Pantelleria, le Eolie, le Egadi, le Pelagie e Ustica è un enigma tutto italiano. Anche solo associare le due linee d'intervento, una per la Sardegna e l'altra per i 56 scogli siciliani, è roba da geografi senza bussola. La strategia del "moto ondoso" declinata nei due progetti siculo e sardo potrebbe sembrare uno scherzo di pessimo gusto, in realtà, però, è tutto ufficialmente previsto nel testo riservato, con tanto di timbro "uso interno" di Palazzo Chigi. Dodici righe inserite da una manina di Stato in un piano miliardario, 196 miliardi, con l'unico intento di finanziare ciò che è stato deciso altrove. Sardegna ignara ed estromessa, ignorata e sfruttata.

Il testo riservato

Il testo è sintetico: «L'iniziativa si articola principalmente su due linee di intervento: riqualificazione energetica di 56 piccole isole (identificando per ogni territorio la progettualità maggiormente idonea alla riqualificazione energetica), abbinata all'impiego di una tecnologia innovativa per la produzione di energia elettrica da moto ondoso che prevede la costruzione ed installazione presso le isole minori siciliane di 38 sistemi Iswic. Una specifica linea d'intervento è prevista per la Sardegna dove, in ragione della condizione particolarmente favorevole sotto il profilo dell'ondosità del mare, saranno installati ulteriori 80 sistemi ISWEC». Il piano strategico delle ottanta piattaforme galleggianti ha un obbiettivo dichiarato e messo nero su bianco: «La produzione di energia elettrica da moto ondoso sostituirà quella prodotta con motogeneratori diesel, evitando, complessivamente per le due linee progettuali, l'emissione in atmosfera di oltre 20.000 tonnellate di CO2 all'anno per i 25 anni di vita utile dei sistemi installati».

La piattaforma sperimentale (L'Unione Sarda)
La piattaforma sperimentale (L'Unione Sarda)
La piattaforma sperimentale (L'Unione Sarda)

Giochi verdi

La Sardegna, dunque, è ancora una volta funzionale ai giochi verdi dell'Ente di Stato che, piazzando queste zattere a mare, non è indicato il luogo esatto dell'Isola, compensa, in teoria, inquinamento con certificati ecologici ottenuti con energie rinnovabili. Quale sia il beneficio per l'Isola non è dato sapersi, considerato che la produzione energetica sarebbe talmente irrilevante da rivelarsi totalmente inutile. L'interesse, però, è nelle alte sfere della finanza e non solo. E gli indizi che emergono sono conferme senza appello. Che dietro questo progetto ci sia l'Eni è confermato da un summit di un anno fa a Ravenna. Era il 28 ottobre del 2019. Nella città di Raoul Gardini c'era il gotha energetico e finanziario.

L'incontro di Ravenna con il premier Conte (L'Unione Sarda)
L'incontro di Ravenna con il premier Conte (L'Unione Sarda)
L'incontro di Ravenna con il premier Conte (L'Unione Sarda)

Il summit

Tutti lì per siglare la nascita di una società con segrete mire sulle onde del mare di Sardegna. In prima fila Fabrizio Palermo, amministratore delegato della prima banca pubblica per eccellenza, la Cassa depositi e prestiti, non mancava il numero uno della Fincantieri, Giuseppe Bono, c'era il capo di Terna, la trasmissione elettrica italiana, Luigi Ferraris, e soprattutto troneggiava lui, Claudio Descalzi, l'amministratore delegato dell'Eni.

Conte al tavolo

A mettere tutti intorno allo stesso tavolo ci ha pensato il Presidente del Consiglio in persona, Giuseppe Conte, che di questa operazione ne è palesemente il padrino. Il core business pianificato dalla neonata compagine è lo sviluppo e la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da moto ondoso. In quell'occasione avevano deciso già tutto ma ignoravano quel che da lì a poco sarebbe stato il Recovery Fund. La pandemia quel giorno era ancora un incubo sconosciuto. Poi è arrivata e la valanga di soldi europei, per adesso solo annunciati, non si è fatta attendere.

La corsa al Recovery

In un attimo è diventata un'occasione troppo ghiotta per non infilarci dentro il moto ondoso di ravennate memoria. L'accordo del resto aveva pianificato tutti i suoi tempi, sino alla brusca accelerazione. Ad ottobre dello scorso anno pensavano prima di prendersi un po' di tempo per mettere a punto il modello di business, definendo un vero e proprio piano industriale da realizzare in Italia. Solo dopo sarebbero passati all'azione.

Virus e denari

Gli eventi, il virus, i soldi a manetta hanno suggerito di buttarsi a capofitto sulle onde, come fossero surfisti provetti. Ad apporre il sigillo all'operazione ondosa era stato il numero uno di Eni, Claudio Descalzi. Come un cecchino appostato in attesa del primo finanziamento utile aveva pronosticato: "Questo accordo si inserisce nel nostro piano strategico di decarbonizzazione e trova fondamento nella grande esperienza di Eni nelle attività offshore e nella gestione dei progetti complessi. Elementi che hanno consentito di realizzare e installare la prima applicazione industriale di ISWEC in tempi record per il settore. La collaborazione con tre eccellenze italiane, quali CDP, Terna e Fincantieri, - favoleggia Descalzi - consentirà di mettere a fattor comune le grandi competenze esistenti e di accelerare il processo di industrializzazione di questa tecnologia, a differenza di quanto avvenuto finora per dispositivi analoghi".

Accelerazione offshore

Eccome se hanno accelerato. In meno di un anno sono riusciti persino ad inserire nel Recovery Plan, nel capitolo delle pari opportunità, il mega progetto di piattaforme ondose da piazzare nelle coste sarde per produrre energia dal movimento del mare. Peccato che nessuno abbia mai dichiarato per chi e per cosa queste piattaforme marine dovrebbero produrre questa energia, visto che in uno dei tanti report interni dell'Eni si afferma: ISWEC è perfetto per fornire energia elettrica a impianti off-shore, in particolare a piattaforme Oil&Gas. Cosa c'entra la Sardegna con gli impianti off-shore? Niente, anche se le veline dell'ente di Stato si spingono oltre: l'obiettivo è sviluppare 118 impianti ISWEC industriali per arrivare a produrre circa 12 megawatt di energia elettrica dal moto ondoso. Praticamente energia costosissima e con quantitativi ridicoli.

Sole & onde

Ottanta di questi sistemi ondosi hanno già una destinazione, la Sardegna. E, giusto per non farci mancare niente, nelle piattaforme elaborate dalla potentissima compagine di petrolieri, elettricisti e produttori di armi, si prevede anche un'ulteriore crescita tecnologica con l'installazione di pannelli fotovoltaici sulla coperta degli impianti su scala industriale che, larghi 23 metri e lunghi 19, consentiranno di incrementare energia e soprattutto incentivi. Insomma, non si lasciano sfuggire nemmeno un euro. E sognano di moltiplicare introiti e incentivi confidando sul fatto che la densità energetica complessiva delle onde risulta cinque volte superiore rispetto a quella del vento e venti volte quella del sole. Delle coste sarde, della navigazione, del paesaggio poco importa. Benvenuti in Sardegna, il Bengodi del sole, del vento e ora anche delle onde. Se ci sono da macinare incentivi a buon mercato i surfisti pubblici e privati non mancano, a partire dai boiardi di Stato. E l'Isola silente continua a subire le incursioni via mare.

Mauro Pili
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