Aveva denunciato una violenza sessuale. Il presunto responsabile, un carabiniere che avrebbe dovuto aiutarla, in primo grado era stato condannato. La sentenza era stata ribaltata in Appello, con un’assoluzione confermata in Cassazione. Ma lei, una cagliaritana che ora ha 60 anni, si era rivolta al “Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne”, organismo nato sulla base di un trattato internazionale adottato dalle Nazioni Unite. La decisione è arrivata nel 2022: la sentenza di assoluzione, ha stabilito il Cedaw (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women), sarebbe stata emessa sulla base di «stereotipi di genere» e che i giudici cagliaritani si sarebbero basati «su percezioni distorte e idee preconcette e miti, non su fatti rilevanti». Elementi che portano la donna a essere troppo spesso soccombente nei procedimenti penali su reati di genere. Per questo lo Stato italiano, “reo” di avere delle falle nel sistema giudiziario, era stato invitato a indennizzare la donna. Ma dopo tre anni non si è mosso niente. E il caso è finito in Parlamento: il Governo è chiamato a dire come intende intervenire.

Il caso

I fatti risalgono al 2008. E un fatto è subito da chiarire: per la giustizia italiana l’uomo accusato è innocente con sentenza passata in giudicato. La vicenda è stata ricostruita nel provvedimento di oltre 20 pagine dell’organo delle Nazioni unite. La donna si era rivolta ai carabinieri per denunciare maltrattamenti da parte del marito. Uno dei militari intervenuti, l’indomani l’aveva poi contattata per un incontro. In casa, in quell’occasione, si era consumato un rapporto sessuale. Uno stupro, dirà poi lei. Ne scaturì un processo. Il Tribunale di Cagliari, in primo grado, emise una condanna a sei anni contro il militare. Che presentò ricorso. E vinse nei successivi gradi di giudizio.

In sintesi, secondo i giudici d’Appello – con decisione avallata anche dalla Cassazione – il rapporto sessuale era stato consenziente. Tra i motivi: era stato usato il preservativo, fatto che escluderebbe la violenza. Anche eventuali lividi sarebbero stati giustificati «con l’esuberanza di un incontro consensuale». Era emerso che la donna avrebbe presentato denuncia perché in seguito si sarebbe sentita rifiutata. Imputato innocente, quindi, per non aver commesso il fatto.

La decisione

La verità giudiziaria è incontestabile. Ma è arrivato il provvedimento della Cedaw, primo in Italia nel suo genere, che a seguito del ricorso dell’avvocata Teresa Manente, ha criticato il sistema giudiziario italiano. Il Comitato ha stabilito che «il trattamento» dei Tribunali «ha mancato di assicurare l'uguaglianza in quanto vittima di violenza di genere e tradisce una chiara mancanza di comprensione dei costrutti di genere della violenza contro le donne, del concetto di controllo coercitivo, della complessità dell'abuso di autorità e della fiducia, l'impatto dell'esposizione a traumi consecutivi, a complessi sintomi post-traumatici, inclusa la dissociazione e la perdita di memoria e le vulnerabilità specifiche delle vittime di abusi». Per questo è stato imposto il risarcimento. Lo Stato italiano, che aveva partecipato al procedimento, non ha ancora riconosciuto alcuna somma alla donna cagliaritana. Ora il Governo deve rispondere all’interrogazione della deputata Pd Valeria Valente, che chiede «quali iniziative intenda adottare per dare esecuzione alla decisione del Comitato Cedaw, in particolare con riferimento agli indennizzi».

Enrico Fresu

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