La deculturazione perseguita negli ultimi decenni in Italia, e specialmente nel sud e in Sardegna, che ha minato il nostro tessuto di ricerca e sviluppo e l'insieme del sistema educativo e formativo, dalle scuole elementari all'università, sta purtroppo evidenziando i suoi nefasti risultati. Dei quali però, quale consequenziale sotto-prodotto della mediocrità diffusa, non si riesce ad avere piena coscienza: la matematica e in genere il regno dei numeri e delle statistiche rappresentano, infatti, un mondo difficilmente comprensibile per chi è vittima dell'ineducazione.

L'ideologia, ridotta ormai all'interpretazione dell'istituzione da conquistare per esercitare il proprio potere sugli altri, è merce più spendibile, è la disciplina che meno richiede impegno, scuola, fatica, è la strada di minor resistenza. Prendere in comodato d'uso un'idea piovuta dall'alto, cristallizzata, è una grande scorciatoia, diciamolo, rispetto al dover creare un proprio pensiero. Interrogarsi sui numeri richiede, viceversa, un'attenzione priva di pregiudizi, e un certo sforzo.

Quando per esempio si legge su "Italia Oggi" che la quota, 57%, di occupati italiani dai 15 ai 64 anni è la penultima in Europa, superiore solo alla Grecia del dopo massacro (53%), e ben lontana dalla media europea del 68% o dalla irraggiungibile Germania col 77,3%, qualche dubbio dovrebbe sorgere. Le decisioni strutturali prese (vedi l'ingresso nell'Ue) e le politiche seguite in Italia negli ultimi quarant'anni, prima di tutte quelle sulla formazione, sono state corrette oppure sono state un tremendo errore?

Il fatto che il corpo della popolazione italiana in grado di avere un lavoro e di produrre ricchezza partorisca una percentuale risibile e pericolosa di occupati, solo il 57%, o, per converso, che il 43% della popolazione italiana "valida" non lavori, non sia occupata, è un dato abnorme, impressionante, soprattutto se paragonato agli altri stati.

Noi siamo il fanalino di coda, tutti ci sopravanzano, eccetto appunto la Grecia che fa poco testo perché sottoposta a un trattamento di cui solo tra un decennio si sapranno i reali effetti non solo economico-finanziari, ma anche antropologici.

Dal "Sole 24 Ore", invece, si apprende che il 43,8% degli italiani (e il 50,9% guarda caso dei sardi) non raggiunge i 15mila euro di reddito, la soglia da cui comincia per convenzione la classe media; ha inoltre registrato una perdita di reddito del 13% negli ultimi 10 anni; e ha perso 3,3 milioni di dichiaranti, perduti negli anni della crisi tra disoccupazione e lavoro nero.

La classe media, invece, che va da 15mila euro a 55mila euro di reddito, ha perso negli ultimi dieci anni l'11,7% del suo reddito e della sua capacità di acquisto. Neanche il 5% degli italiani (e neanche il 2,9% dei sardi, parliamo di briciole!) supera i 55mila euro di reddito.

Si tratta di valori e percentuali che ci collocano agli ultimi gradini della lunga scala europea, e poco consola che il sempre limpido Monti ci esorti a essere felici perché negli ultimi settant'anni in Italia non abbiamo avuto guerre - ormai solo questo argomento rimane in mano agli europeisti-costi-quel-che-costi. Che mi risulti, infatti, anche la Germania ha potuto usufruire dello stesso periodo di pace, ma presenta risultati completamente diversi.

In dieci anni, come rileva Giorgio Triani su "Lettera43", l'Italia è invecchiata e immalinconita senza diventare più saggia. Il nostro paese è diventato «uno dei luoghi dove si tira avanti molto male» e dove la depressione è esplosa. La notizia riportata dai migliori giornali economici che i finlandesi siano i più felici in Europa, seguiti da Norvegia, Svezia, Danimarca e Olanda può solo sorprendere chi si bea dell'allegra cialtroneria mediterranea.

La verità è che «avere uno stato che funziona, un welfare eccellente e salari più alti e in crescita giova allo spirito e al morale molto più di un bel clima e di luoghi storici a volontà».

C'è un altro aspetto che è scarsamente considerato: la borghesia è l'humus e la base della liberal-democrazia; quando la classe media è vessata, spremuta e marginalizzata, non solamente va a rotoli tutto l'insieme, compresi i valori, ma lo stesso concetto di democrazia diventa pericolosamente sottile e vulnerabile.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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