E' il 1968. Graziano Mesina è latitante, come spesso gli è capitato in 78 anni da bandito e primula rossa. Una vita spericolata, tra fughe spettacolari, sparatorie, omicidi, sequestri e, da ultimo, un gigantesco traffico internazionale di droga con 'ndrangheta e camorra. Massimo Pugliese è colonnello dei carabinieri, in congedo. Uomo affabile, brillante, all'apice della carriera, ma soprattutto in forza ai servizi segreti dell'epoca.

Mesina e la Cuba sarda - Il mandato che riceve, direttamente dal Quirinale, è vergato dal Capo dello Stato: evitare che la Sardegna diventi la Cuba del Mediterraneo. Nei piani alti dei palazzi romani temono la saldatura tra l'anonima sequestri sarda e il movimento di extrasinistra con intellettuali reazionari che teorizzano la santa alleanza in terra sarda.

Mesina è già allora il portabandiera di un banditismo che sequestra a mani basse, una vera e propria pesca a strascico di possidenti da depredare di libertà e denari. La fuga dal carcere di San Sebastiano di Sassari, con Miguel Asencio Prados detto Atienza, è già nei libri di testo, adottati dall'università della delinquenza. Teoria e pratica di uno scavalcamento temerario di un muro infinito di un carcere in piena città. A Roma temono che il bandito di Orgosolo si faccia affascinare dalla lotta politica, magari per ammantare di filosofia e salamelecchi rapine e sequestri. Massimo Pugliese, che risulterà iscritto con la tessera 1914 alla logga deviata della P2, si mette a caccia del latitante, ormai famoso in tutta Italia. Non solo per arrestarlo, ma dissuaderlo soprattutto dall'alleanza rivoluzionaria in salsa cubana. Il mito di Che Guevara serpeggia e il rischio sono attentati, disordini e proteste di ogni genere in grado di infiammarsi in un attimo come una scintilla in un pagliaio di povertà e disoccupazione. L'obiettivo di Pugliese è pesante, trattare la resa e comunicargli che il governo non gradirebbe il contatto tra Mesina e certa politica.

Il governo di allora è pronto a tutto, anche a pagare. Al colonnello le cronache secretate gli affidano 150 milioni di lire per convincere Mesina a cedere il passo. Da una parte le caramelle di denaro e dall'altra una minaccia niente male per uno che governa l'intero Supramonte: se non accetta lo Stato è pronto a schierare centinaia di uomini e battere a tappeto ogni pertugio di quelle montagne. Una bella seccatura per un latitante abituato a spadroneggiare a casa sua.

I servizi segreti - Pugliese non ha mai confermato quell'incontro ma Mesina ne ha raccontato dettagli succulenti. In arrivo in Sardegna ci sarebbe stato un imponente carico di armi e moneta sonante per foraggiare il banditismo sardo. L'informazione riservata era arrivata direttamente sul tavolo del Sid, il servizio segreto di Stato. Il colonnello ha la sventura di guidare anche quella struttura e deve farsi in quattro per arginare sul nascere il pericolo che incombe. Mesina pensa di affidarsi alla tecnologia per cristallizzare con tanto di registrazione la conversazione che doveva restare segreta con il capo del controspionaggio italiano. Il tentativo di incidere su nastro magnetico la voce dello 007 fallisce miseramente. La sera dell'incontro, freddo inoltrato, primi mesi del 1968, il nuorese è una landa desolata. Non si vede una pattuglia di carabinieri e polizia nemmeno a pagarla. Deserto, strade sgombre, via libera per il capo dell'intelligence. La primula rossa ama i rituali del banditismo. Manda un ambasciatore a riceverlo, lo fa incappucciare, lo ubriaca facendogli scalare tortuosi tornanti pedestri e poi lo incontra, in cima, a due passi dal cielo di Barbagia. Mesina racconta tutto. Pugliese per intimidirlo gli dice che la sua stilografica era in realtà una pistola. Il capo dei capi dell'anonima sequestri gli ride in faccia. Alza la posta Grazianeddu, oltre ai 150 milioni chiede una detenzione sicura a Nuoro e la liberazione di alcuni compagni di sventura detenuti in carcere. Il governo lascia perdere, operazione troppo pericolosa, si rischia lo scandalo. Attenderanno che Mesina arrivi a più miti consigli. Pugliese, intanto, lascia la Sardegna con la coda tra le gambe. Qualche anno più tardi, è il 1984, Carlo Palermo, giudice istruttore lo fa arrestare con l'accusa di far parte di un colossale traffico d'armi.

Mesina qualche mese dopo quell'incontro, è il 27 marzo del 1968, viene sorpreso a bordo di una Fiat 850 a due passi da casa. Cerca di fuggire. Gli agenti gli spianano i mitra. La sua macchina è un arsenale ma non sparerà un colpo. Una folla da beatificazione lo attende davanti alla questura di Nuoro, la primula rossa era di nuovo nelle patrie galere. Sono passati 52 anni dalla cattura più eclatante del giovane Mesina, scattante, agile e soprattutto circondato da una rete di complici disseminata nel suo enclave natio. Tutto, ora, è cambiato. Si fanno ancora i posti di blocco, anche massici, come quello di ieri nella Lanusei - Nuoro, ma nessuno immagina di trovare Mesina a passeggio in auto.

Indagini e bandito antico - Ed è qui l'anomalia di questa fuga annunciata: investigazione da terzo millennio e bandito del secolo scorso.

Mesina, dalla sentenza di Cassazione, si è preso un margine sufficiente per andare ovunque. Compresa l'ipotesi di lasciare l'isola per raggiungere la sicura Corsica. In terra straniera, sufficientemente lontano dalla pressione delle ricerche dei primi giorni e soprattutto circondato da una rete sardo corsa con precisi riferimenti nella cerchia consolidata di rapporti sacrali e non solo. La mattina di una settimana fa, giovedì 2 luglio, a Roma, in Corte di Cassazione, l'udienza per rispedirlo in carcere o lasciarlo libero era fissata per le 10. I due avvocati si dividono i compiti. Beatrice Goddi va a Roma, Maria Luisa Venier ad Orgosolo. Il dibattimento è ad oltranza. Prima della chiama della causa "Mesina Graziano" in agenda ci sono altre 20 udienze. Si sa quando si inizia ma non quando si finisce. Un dato è certo: Mesina alle 19 deve andare a firmare in caserma. È in compagnia del suo avvocato di fiducia che fa da ponte con la collega a Roma. Sino alle 16. A quell'ora le celle telefoniche che monitorano i movimenti in casa Mesina accerteranno che l'avvocato lascia Orgosolo verso Cagliari. L'udienza a quell'ora, nell'Alta Corte, quella dell'ultima spiaggia, non è ancora iniziata.

La fuga prima dell'udienza - Mesina non ha tempo da perdere. Deve far scattare il piano che ha studiato come solo un bandito d'altri tempi sa fare. Ed è qui che Grazianeddu mette a segno l'ennesimo scacco matto. Lo pensano vecchio e rassegnato al carcere. A Roma nessuno si preoccupa dell'ex primula rossa, magari lo immaginano in pigiama a casa ad aspettare il verdetto. Niente da fare. Salta la firma delle 19 e, quando alle 22,15 i carabinieri suonano alla porta di casa della sorella, lui non va ad aprire. Non si dimentica il telefono a casa, semplicemente perché lui telefono non ne ha mai usato. Nell'era delle intercettazioni telefoniche a manetta, dei virus Trojan da spedirti nel telefonino per ascoltare in presa diretta le conversazioni a distanza, Mesina non usa il telefono. Non ha nemmeno un numero telefonico a portata di memoria e secondo chi lo conosce bene non farà mai l'errore di lanciare la sua voce nell'etere usando altre utenze, magari francesi.

Lo sbarco dei Ros

Roma non teme l'escalation criminale di Mesina, ma la figuraccia rimediata su scala internazionale non può restare impunita. Non è un caso che per il maxi arresto di 33 affiliati ad un traffico di droga, con personaggi direttamente connessi con la recente storia criminale di Mesina, a Cagliari sia giunto il numero uno dei Ros, il comandante di divisione Pasquale Angelosanto. Una presenza non giustificata dalla sola retata di spacciatori e trafficanti. Le sue parole sono emblematiche: non lasceremo niente di intentato per restituire Mesina alla giustizia. Il manuale riservato dell'intelligence è un calvario di codici informatici e password per intercettare e controllare chiunque a distanza. Apparati sofisticati per scovare chiunque. Peccato che Mesina non abbia e non usi il telefono, peccato che nella vita abbia sempre vissuto di stratagemmi di ogni genere per scappare e vivere alla macchia. Un professionista d'altri tempi, con la consapevolezza che la tecnologia non lo potrà raggiungere, salvo qualche passo falso. Grazianeddu è consapevole che sarebbe l'ultimo della sua vita. Conosce le regole e i tempi della cooperazione internazionale delle forze di polizia. Ha ancora del tempo prima dello sbarco di investigatori e militari in terra straniera. In Corsica, nel frattempo, è pieno di turisti, non si usa la mascherina e c'è ancora tanta legna da tagliare per il prossimo inverno.

Mauro Pili
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