Diciamoci la verità, i poveri non esistono. Sono solo sfaticati cronici o perfetti evasori, altrimenti perché esisterebbero in una repubblica che, come tutti sappiamo, è democratica, fondata sul lavoro? Dove il sostantivo lavoro richiama oggi qualcosa di astruso, un archetipo, un modello di riferimento usato soltanto nel suo significato generico, impalpabile: il lavoro risolverà i problemi del sud, il lavoro cambierà il destino della Sardegna, cancellerà la povertà.

Non me la date a bere. Abbiamo visto come sono finiti i metalmeccanici che rappresentavano in fondo la quintessenza del concetto del lavoro: non solo provvedevano alle proprie famiglie e mandavano i figli all'università, ma nutrivano anche una corte di sindacalisti, politici e intellettuali, oh quanti maître à penser!, che in fondo erano innamorati del "essere proletari" e sul sudore altrui hanno campato per decenni.

È questa pletora di appassionati che ha convinto i pastori a vendere il gregge per poter avere un destino glorioso e proletario a Ottana, non dimentichiamolo. C'è voluto Elio Petri e il suo "La classe operaia va in paradiso" a squarciare il velo d'ipocrisia ideologica.

E, chiediamoci, dove sono finiti oggi i metalmeccanici? Scomparsi, una moria, un genocidio nascosto. I migliori alesatori - perché chi ama i metalmeccanici sa che la vera università, il banco di prova finale non è il tornio o la fresa, ma l'alesatrice - sono tutti dei paesi dell'est. A noi è rimasto il truciolo, e poi i liquami da nascondere.

I politici illuminati, ovviamente neo-liberisti, invocano il lavoro come concetto assoluto, un'utopistica panacea, e alzano le braccia al cielo: dall'alto calerà un qualche mantello, magico, che posandosi sulle turbe di pigri e furbi cambierà le prospettive e la storia. Domani. A loro che non hanno previsto e combattuto le tremende conseguenze della globalizzazione, che si sono votati a visioni oniriche transnazionali dimenticando cosa avveniva all'artigiano e al commerciante sotto casa, che si sono nutriti di una prosopopea pseudo-antropologica, tutti migliori, tutti distanti dagli altri, interessa comunque poco.

I poveri non esistono, la Sardegna non è territorio ufficialmente arretrato, chi emigra lo fa per gusto personale, la sanità è uguale per tutti - vi prego, vi abbiamo dato anche l'elicottero, che cosa volete? - la giustizia è uguale per tutti, come pure la banalità della continuità territoriale. Tutti sono uguali nella nostra repubblica democratica, indipendentemente dal contesto e dalla formazione, lo sapevamo? Qual è il senso di essere dalla parte dei deboli, dunque, se questi non esistono più?

Dimenticando, purtroppo, che per essere fondata sul lavoro, la nostra repubblica deve 'creare' lavoro, non aspettarlo e invocarlo. E il lavoro, quest'umana attività rivolta alla produzione di beni e servizi, all'ottenimento di un qualcosa che abbia utilità generale, di valore, richiede non solo i classici apporti di sacrificio, di passione, regole e doveri, ma anche dosi massicce di formazione, di studio e di ricerca.

Non prendetemi in giro: se è stata perseguita scientemente una deculturazione massiccia e progressiva, minando sin dalle fondamenta il sistema scolastico, credo che non si possa non essere d'accordo sui risultati, com'è possibile creare lavoro? Ci professiamo tutti gramsciani, facile dirlo, eppure facciamo finta di non comprenderne la lezione fondamentale, che solo un popolo colto e preparato può costruire il proprio futuro allontanando lo spettro di sfruttatori e avventurieri.

Tutte le grandi civiltà si sono evolute partendo e basandosi sulla formazione, noi no. A noi bastano le visioni, le utopie, e la presunzione che una peculiare provvidenza (ah, le colpe del Manzoni) sopperisca alle nostre carenze culturali e professionali, e alla nostra mancanza di serietà.

Nessun pensiero critico, ma l'omogeneizzazione. Perché l'obiettivo, vien da pensare, è ciclico: la creazione non di lavoro, ma di un sottoproletariato omogeneo, intercambiabile e inerte, alle spalle del quale l'oligarchia neo-liberista possa ancora conservare i propri benefici, le scorciatoie privilegiate, il proprio senso egoistico. Per loro l'eroe rimane sempre Superciuk, il personaggio creato da Max Bunker per Alan Ford, che odia l'umanità miserevole e sporca, e per questo motivo ruba ai poveri per dare ai ricchi.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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