La paura scuote, s'impossessa delle persone, talvolta anche delle più intelligenti. Infatti la paura, e la capacità di diffonderla, «sono spesso armi che offrono grandi risultati, e costano pochissimo a chi la sparge per trarne vantaggio, nei luoghi di lavoro come in intere nazioni. Aiuta i dittatori, agevola chi ha intenzioni disoneste o è in cerca di vantaggi personali». E, talvolta, sfugge di mano perfino a chi la diffonde perfino senza volerlo, anzi tentando di fare qualcosa per attenuarla nel senso collettivo. La paura è un sentimento potente e semplice: «Di fatto, è non sapere che cosa succederà. Se poi chi ha il dovere di tenerla sotto controllo, cioè chi governa e non importa se come capoufficio o premier di un Paese, davanti a una situazione critica per tutti cambia regole ogni giorno, la gente s'impaurisce. Lo fa per due motivi: dubita delle capacità di chi deve gestire quella situazione critica, e poi non comprende se una contromisura è necessaria, si chiede per quale motivo si sia sprecato tempo con risposte parziali e quindi insufficienti. L'incompetenza, nel gestire non solo le situazioni reali ma anche la psicologia di un popolo, genera disordine, incertezza e soprattutto paura».

Lo psicoterapeuta Patrizio Anedda (foto Luigi Almiento)
Lo psicoterapeuta Patrizio Anedda (foto Luigi Almiento)
Lo psicoterapeuta Patrizio Anedda (foto Luigi Almiento)

Patrizio Anedda, 62 anni, torinese da decenni trapiantato a Cagliari, medico specialista in Psicologia clinica, psicoterapeuta ed esaminatore aeromedico, non studia l'epidemia da coronavirus, ma le azioni che si compiono e le reazioni che generano. «L'ufficiale in comando deve avere visione strategica e saper gestire il suo esercito con senso protettivo, come farebbe una madre, perché soltanto così i soldati rispetteranno le regole che consentono di superare la situazione critica. Possono farlo soltanto se si fidano e credono nel progetto. Detto questo, la litigiosità tra i politici sta diffondendo il panico, ma la cosa peggiore sono le misure adottate a metà: perché scuole chiuse ma negozi, bar, ristoranti, palestre e circoli aperti? Si sarebbe dovuto chiudere tutto subito, con lo stesso provvedimento. Perché attendere tanto per la chiusura di porti e aeroporti? Il ritardo ha consentito di spargere il virus in tutto il Paese. Questa improvvisazione», è convinto Anedda, «genera paura, amplificata poi dai toni dei mezzi di informazione di massa ufficiali e aggravata dai social network che ci bombardano di notizie false o esasperate».

Controlli della polizia a Cagliari (L'Unione Sarda - Ungari)
Controlli della polizia a Cagliari (L'Unione Sarda - Ungari)
Controlli della polizia a Cagliari (L'Unione Sarda - Ungari)

In questa vicenda della pandemia, ci sono dunque due luoghi del disastro: del primo - i territori raggiunti dal coronavirus - si parla incessantemente e ovunque, sui media e nelle conversazioni che abbiamo in questi giorni di paura. L'altro disastro ha ben altra sede: il nostro cervello, incapace - perché non l'abbiamo educato e per via della sfiducia nei confronti di chi è chiamato ad affrontare il problema con le armi dello Stato - di elaborare che siamo sì in una situazione di emergenza, ma che la nostra morte a causa del Covid-19 è tutt'altro che certa. Quella contro il virus è sì una guerra, ma il discorso vale come metafora, invece molti di noi vivono come se carri armati e soldati fossero davanti all'uscio di casa con l'unico obiettivo di uccidere noi e chi ci è caro.

La tenda all'ospedale Sirai di Carbonia (L'Unione Sarda - Murru)
La tenda all'ospedale Sirai di Carbonia (L'Unione Sarda - Murru)
La tenda all'ospedale Sirai di Carbonia (L'Unione Sarda - Murru)

«Ecco, se nella mente abbiamo questo scenario, allora siamo nel secondo luogo del disastro, nel quale si sviluppano il panico incontrollato, la tendenza a diffondere notizie false e gli atteggiamenti ostentatamente contrari alle regole che tutti dovremmo rispettare per uccidere il virus in modo indiretto: privandolo di persone da assaltare, considerato che per ora non c'è cura né vaccino», fa notare lo psicoterapeuta. Ecco perché dobbiamo contenere al massimo il contagio limitando la trasmissione del virus grazie alla riduzione dei contatti tra le persone.

«Il disastro», riassume Anedda, «è un evento concentrato nel tempo e nello spazio, per il quale una società o una sua parte relativamente autosufficiente subisce gravi danni e va incontro a perdite tali, per le persone e le proprietà, che la struttura sociale ne esce sconvolta ed è impedito, in tutto o in parte, lo svolgimento delle funzioni essenziali».

Detto questo, però, c'è disastro e disastro: esistono quelli, come ad esempio i terremoti o le alluvioni, «in cui le necessità essenziali per sopravvivere sono difficilmente raggiungibili e il sistema dei soccorsi è al collasso. Poi ci sono situazioni come questa pandemia, in cui le misure adottate permettono un normale accesso alle fonti di sopravvivenza». Eppure gli assalti ai supermercati - malgrado la produzione e la distribuzione di prodotti alimentari e di prima necessità sia assolutamente garantita, giornali compresi - ci sono stati e qualcuno ancora continua a riempirsi la casa di scatolette e cibo a lunga conservazione. Insomma, «sono barricato in casa e ho cibo per un anno» consola e rassicura, ma nel frattempo il vicino di casa mangia cibo più sano e fresco, pane appena sfornato, frutta e verdura colte di recente.

Davanti a una situazione come l'epidemia da coronavirus con le restrizioni imposte per contenerla, analizza Patrizio Anedda, ci sono diversi tipi di atteggiamento: quello collaborativo, per cui il singolo capisce che le regole da seguire aiutano tutti e non il virus, e semplicemente le applica. È l'approccio migliore, l'unico utile. «Ma ci sono», ammonisce il medico psicoterapeuta, «gli altri atteggiamenti: la sovrastima del fenomeno, che genera sentimenti di ansia e di impotenza, ma esiste anche la sottostima, e quindi la gente contravviene alle regole dell'emergenza, va in giro e contribuisce a propagare il virus perché tanto non succede niente. Per non farci mancare nulla, ci sono poi le personalità narcisistiche e istrioniche che vogliono sentirsi onnipotenti e anche quelle che, pur di non prendere atto che una pandemia è in corso perché ne hanno paura, negano la realtà e s'intestardiscono su presunti complotti, eludendo le regole».

In tutto questo, s'inseriscono nuovi provvedimenti sempre diversi, le informazioni improvvisate o, peggio ancora, manipolatorie, e per questa "disciplina" il premio oscar va certamente a Facebook, dove qualunque idiozia postata da qualunque idiota ha spesso più credito dell'affermazione di uno scienziato o di un esperto. Perché le scrivono, quelle balle? «Perché aiutano a nascondere sotto il tappeto la paura di chi lo fa. Il meccanismo che porta a diffondere le fake news», analizza Anedda, «serve per sottrarsi almeno una volta al ruolo di vaso di coccio tra i vasi di ferro. Insomma, sono persone che incutono paura perché, grazie alla consapevolezza di mettere in agitazione gli altri attraverso una menzogna, si rilassano».

Alla fine - anzi, fin dall'inizio - come sempre il pesce puzza dalla testa. «Non si parli di psicosi collettiva», ammonisce lo psicoterapeuta, «perché psicosi non è. Semplicemente, la gente risponde in questo modo a una realtà di incertezza, litigiosità politica e contraddizioni così come i media la descrivono. A sbagliare non è chi riceve il messaggio, ma chi lo diffonde sulla base di questa realtà. Abbiamo bisogno», conclude Patrizio Anedda, «di autorità in grado di raggiungere l'obiettivo contenendo le perdite, non di paura generata da misure confuse, frammentarie e contraddittorie che cambiano di continuo, perché questo modo di fare crea un ambiente straordinariamente stressante nel quale le persone devono fare appello a capacità di sopravvivenza e di reazione non abituali». Pochi, le hanno.
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