Mettiamoci nei panni di Francesco Pigliaru. Ha suonato, cantato e portato la croce per quattro anni, ma a un quarto d'ora dalla fine qualcuno vorrebbe affidargli un'altra squadra. Qualcuno chi? Buona parte del Pd. Un partito diviso alla meta il 4 marzo ma, prima ancora della disfatta, dilaniato dai mal di pancia. Romani e fiorentini, certo, ma soprattutto sardi.

Molti ricorderanno l'arrivo del professore nella sede della direzione del Partito democratico, a Oristano. Era la notte della Befana 2014. Pigliaru era stato accolto come il Mourinho del triplete dopo che il derby tra le correnti Dem finì zero a zero, lasciando però molti infortunati sul campo.

«Possiamo vincere», disse subito un profetico Pigliaru. Non è stata una legislatura in discesa, ma il presidente della Regione, nonostante lo tsunami di due settimane fa, ha deciso che terrà duro, tanto più perché non ha velleità di ricandidatura.

Messaggio agli alleati, Pd in testa: va bene farsi del male da soli (succede in tutte le famiglie, pensate a Cappellacci e Pili alle ultime regionali), ma rischiare di crollare prima del 2019, per il centrosinistra sardo, sarebbe da dilettanti della politica, visto lo scenario.

Il trionfo dei Cinque Stelle, con dieci punti percentuali in più rispetto alla media nazionale, dice - anche - che i sardi non hanno apprezzato il gioco di squadra di Giunta e Consiglio.

Non è forse la coalizione tutta ad avere approvato l'Azienda unica per la tutela della salute? Disse sì anche l'ala più a sinistra, passata all'incasso con il Reis, il Reddito di inclusione sociale, ribattezzato in via Roma “Agiudu torrau”. È il nome ufficiale, è scritto sui documenti, non è una licenza giornalistica.

Dall'Ats alla riforma della rete ospedaliera il passo è stato necessario e inevitabile. Il resto è cronaca di tutti i giorni, alibi di ferro per la tranvata, a sentire molti politici del centrosinistra: hanno l'indice puntato contro il presidente, l'assessore alla Sanità e i loro manager.

Oggi fa comodo indicarli come i mandanti di una rivoluzione che già sulla carta appariva come una vetrata da scalare. Eppure, molti dei politici che vogliono scaricare tutte le colpe sulla Giunta, con lo stesso indice accusatore hanno schiacciato in Aula, più volte, il tasto “favorevole”.

Pigliaru, Arru e Moirano (rimarrà?) avranno a disposizione meno di un anno per modellare le colonne della riforma. Ovvero, ridurre le spese e aumentare la qualità dei servizi, abbattendo la babele nelle torri locali del potere politico e sanitario, con Sassari caput mundi per la gestione della salute dei sardi, dagli appalti ai concorsi.

Alla vigilia delle prossime regionali queste colonne reggeranno la nuova sanità sarda? E schierando subito un altro Sansone sarebbe più facile evitare il crollo? Pigliaru ha deciso di essersi guadagnato il diritto di decidere, dopo quattro anni trascorsi a suonare, cantare e portare la croce. Ha anche promesso di rottamare (licenza giornalistica, questa sì) la macchina burocratica.

Tifiamo per lui: lascerebbe una grande eredità. Ci sarebbe poi la partita sull'Urbanistica. Certo, con l'infermeria Dem sempre piena, non sarà facile vincerla.
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