Maurizio Loi nell'estate 2015 era stato «notato più volte per la disinvoltura delle manovre» con lo yacht Thor II nella costa di Santa Margherita: si avvicinava alla battigia, puntava la prua al largo e «ripartiva immediatamente», fatti scendere i passeggeri, «dopo un breve movimento all'indietro» della barca. Era comandante e aveva «una posizione di garanzia»: gli spettavano «la direzione di manovra e navigazione» e «la salvaguardia delle persone imbarcate».

Invece il 9 luglio di quattro anni fa aveva «fatto salire a bordo un gruppo significativo» di ospiti «senza» gli adeguati «accorgimenti», non aveva predisposto «un servizio di vedetta e assistenza» nonostante «l'angolo cieco a poppa» e alle 17,30 «era ripartito quando ancora alcuni erano a bordo e altri si erano appena tuffati». Ed era accaduta la disgrazia.

Condanna e assoluzione

Sono i passaggi fondamentali delle motivazioni della sentenza con la quale, lo scorso gennaio, il giudice Giuseppe Carta ha condannato Loi a 4 anni e mezzo per aver provocato, con i suoi «comportamenti omissivi», la morte di Letizia Trudu, uccisa a 11 anni dalle eliche dello yacht davanti alla spiaggia di viale Delle Sirene. L'elenco delle contestazioni è dettagliato, come precisi sono gli elementi che hanno spinto il Tribunale ad assolvere «con formula piena» Andrea Trudu, padre della vittima, finito sotto accusa per un presunto "omesso controllo". Per il giudice invece Trudu «viaggiava come passeggero» e dunque era «sotto la tutela del comandante». Non poteva «evitare l'evento».

La disgrazia del 2015

Quel pomeriggio lui e le due figlie (la secondogenita si era salvata) erano andati a fare un giro lungo la costa assieme ad altri ospiti sullo yacht. Appena rientrati, Loi aveva rivolto la poppa verso terra per agevolare lo sbarco, ma già quando solo alcuni passeggeri si erano tuffati (i nipoti del comandante, Trudu e le bimbe) i motori erano stati messi in funzione e lo scafo, tornato indietro, aveva travolto padre e figlie provocando la morte di Letizia.

Le omissioni di Loi

Il quella situazione, spiega il giudice, le istruzione date da Loi «all'inizio e durante la navigazione» erano state «insufficienti»: aveva rivolto solo «un mero invito alla cautela». Fermatosi davanti alla spiaggia, ben entro i 200 metri dalla costa, «era ripartito con un leggero movimento all'indietro quando ancora alcuni giovani erano a bordo e altri si erano appena tuffati». Così aveva fatto «in altre occasioni», perché l'imputato «era aduso a manovre anche di ripartenza alquanto disinvolte, e con buona probabilità non erano accaduti altri eventi simili grazie alla prestanza fisica di ottimi nuotatori». A bordo «mancava un appropriato servizio di vedetta visivo e auditivo per garantire una completa valutazione della situazione» e quel pomeriggio Loi «aveva premura di ripartire per un appuntamento». Tra l'altro «conduceva la barca» nonostante potesse solo «eseguirvi opere di manutenzione». Insomma, «sono state violate plurime regole cautelari» che, se rispettate, avrebbero evitato la morte «della bimba» perché «i passeggeri non si sarebbero tuffati e il comandante comunque avrebbe saputo che erano in acqua esposti alle eliche». La disgrazia è stata provocata dai «comportamenti omissivi dell'imputato in un contesto in cui le conseguenze potevano essere ancora più gravi». Sicuro il ricorso in Appello dell'avvocato Leonardo Filippi.

Il padre incolpevole

Andrea Trudu invece è incolpevole. «La barca era percepita ferma da tutti», spiega il giudice, «non si sentiva il rumore del motore e il mare non ribolliva; i passeggeri erano convinti di dover sbarcare anche per le indicazioni del comandante, che disse loro di tuffarsi appena arrivati»; il padre aveva incitato le bimbe a farlo, «con fare giocoso, nella consapevolezza di essere al sicuro». In definitiva «l'evento non era prevedibile neanche una volta entrati in acqua, perché sette passeggeri erano ancora a bordo». Trudu, come del resto sottolineato più volte dal difensore Massimiliano Carboni, confidava che il comandante verificasse «la loro posizione prima di partire».

Andrea Manunza

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