Bisogna sempre ascoltare i segnali che arrivano dal profondo, le voci del cuore, i lamenti della terra sulla quale viviamo, i messaggi di chi sa interpretare profeticamente la realtà. Sarà un po' mistico ma questo ho pensato a proposito della protesta dei pastori che è venuta a sconvolgere una sonnacchiosa campagna elettorale.

Ho letto molte cose. Le più precise quelle di Emanuele Dessì che in tema di agricoltura e zootecnia è un'autorità. Non credo però (e su ciò anche il direttore è d'accordo) che tutto possa essere ridotto a una mera vertenza economica.

Sarebbe un errore tremendo fare spallucce, considerarla snobisticamente "roba da pastori" come mi è capitato di sentir dire al bar da qualche cagliaritano con le terga al calduccio.

La questione è molto più complessa dei 60 centesimi pagati per un litro di latte. Riguarda sì l'agricoltura, cioè l'attività che ha consentito all'uomo di progredire fin dai tempi della preistoria, ma attiene anche a un bene immateriale, la nostra identità di sardi, la cultura più autentica.

Non si può pensare alla pastorizia solo in termini di vantaggi immediati, quote latte, sovraproduzione di pecorino romano, sfide muscolari tra allevatori e industriali. Dobbiamo ricordare che attraverso l'agricoltura passa anche il controllo sociale, il radicamento sul territorio, la distribuzione demografica (e quindi l'antidoto allo spopolamento delle zone interne che già ci affligge pesantemente), la sicurezza alimentare nei tempi più bui.

Un concetto forse lontano dalle menti della vasta platea impiegatizia del capoluogo ma più che mai vivo e attuale nel resto della Sardegna che non vuole e non può campare dal terziario. Come ha scritto Mario Sechi, senza i suoi pastori l'Isola sarebbe un deserto materiale e ideale. Come dargli torto?

Mai come in questo caso rischiamo di pagare un pesante tributo al dio mercato, questo totem al quale i più si inchinano senza nemmeno dubitare. E invece i guasti della globalizzazione senz'anima e fuori controllo si riverberano senza pietà su ciò che dovremmo considerare più sacro, il valore della fatica.

Forse non è il caso di cantare l'elegia del pastore di leopardiana memoria. I nostri allevatori non hanno bisogno di poesia, hanno già la solidarietà di tantissimi sardi. Ma guai a lasciare che nel nostro latte si inietti troppo a lungo il fiele della rivolta.

Quando prima parlavo dell'acutezza di chi presagisce il futuro pensavo all'ultimo romanzo di Michel Houellebeck, "Serotonina". Il protagonista è un disilluso funzionario francese del ministero dell'agricoltura che tenta inutilmente di trovare nuove strategie di mercato per i formaggi normanni, di cui uno nobilissimo come il camembert.

Tutto vano. Quando la crisi esplode e gli allevatori si ribellano, va a trovarne uno di loro, ex compagno di scuola. La protesta degenera, il suo amico si suicida, il mercato va a rotoli. È solo una fiction, certo, ma stiamo parlando della ricca Francia e lo scenario è in fondo, purtroppo, plausibile.

Credo e spero perciò che in Sardegna, alla fine, prevalga l'antica saggezza dei nostri pastori e mai la violenza. E che la politica, con un rigurgito d'orgoglio, sappia mettere da parte le divisioni elettoralistiche per trovare una soluzione giusta e condivisa. Un accordo è possibile, troviamolo in fretta.

Massimo Crivelli
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