Il clima e la bistecca (di Giuseppe Pulina)
Le emissioni degli erbivori compensate dalla cattura di Co2 nei nostri ecosistemiPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Caro Direttore,
sul tema introdotto provocatoriamente dal Suo editoriale di domenica scorsa circa gli impatti clima-alteranti delle produzioni di carne e latte, il mio parere è che non salveremo il pianeta astenendoci dal consumare i prodotti dell'allevamento.
Se è vero che l'agricoltura impatta sul clima, è altrettanto vero che si può fare a meno di andare a comprare il giornale in auto (fermo restando che acquistare più quotidiani andandoci a piedi gioverebbe alla salute e alla cultura), mentre non si può non mangiare.
Confondere gli impatti per un'attività indispensabile con quelli per una facoltativa è il primo errore che si commette. Il secondo riguarda il metano. Quello emesso dalle fermentazioni enteriche (ma anche dalle risaie che tanto piacciono ai seguaci di Greta e dalle termiti e insetti xilofagi che da soli rappresentano l'11% delle emissioni totali di questo gas) proviene dal carbonio fissato nei vegetali dalla fotosintesi ed è ridotto nell'atmosfera a CO2 in tempi brevi, circa 10 anni; la CO2 dei combustibili fossili, invece, è immagazzinata nell'atmosfera con tempi di decadenza di 1000 anni: il perfetto riciclo contro l'accumulo.
C'è un ulteriore aspetto poco considerato: la zootecnia si pratica in territori vasti a prevalente carattere agro-silvo-pastorale per cui il bilancio deve essere compilato fra emissioni degli erbivori pascolanti e il sequestro di CO2 nelle piante e nel suolo da parte di questi ecosistemi. Se guardiamo alla Sardegna, le emissioni serrigene annuali del nostro allevamento sono stimate dall'ISPRA in circa 2 milioni di tonnellate di CO2, mentre i 693 mila ha di pascoli ne assorbono 757 mila tonnellate, i 230 mila ettari di foraggere 280 mila e il milione di ha di superfici silvane pascolate circa 4 milioni di tonnellate, per un totale di circa 5 milioni di tonnellate di CO2 sequestrate annualmente. Il bilancio positivo per la nostra Isola è pertanto di 3 milioni di tonnellate di CO2, pari a poco meno di due tonnellate per abitante (o 10.000 km in auto per ciascun Sardo).
Il comparto ovino sardo occupa un'area ampia ed è praticato con sistemi semi-intensivi e semi-estensivi che fanno largo ricorso ai foraggi locali (dal 60 al 80% di quanto ingerito dalle nostre pecore origina da pascoli naturali o da erbai, e il 10-15% da fieni raccolti in azienda), con elevato contributo alla biodiversità e al sequestro della CO2. Un'azienda media ovina della Sardegna presenta un bilancio del carbonio negativo, cioè sequestra più gas serra di quanto ne emette, pari a -0,75 kg di CO2 equivalente per litro di latte prodotto, per cui consumando 1 kg del nostro formaggio (per produrlo occorrono circa 6 litri di latte) si contribuisce alla rimozione dall'atmosfera di oltre 4 kg di CO2. Le filiere dalla produzione della carne bovina, il cui allevamento è praticato nelle superfici boscate, presentano un bilancio negativo ancora superiore, così come il latte e la carne prodotta dalle nostre capre pascolanti sui cespugliati. Conclusione: daremo una mano a salvare il mondo consumando i prodotti della zootecnia della Sardegna.
Giuseppe Pulina
(Università di Sassari)