«Siamo carne da macello, ecco cosa siamo. Non abbiamo mascherine idonee perché non si trovano e nessuno ce le fornisce. Siamo soggetti a rischio e possibili untori, dato che i nostri clienti stanno a 60 centimetri da noi. Non possiamo fermarci perché siamo servizio pubblico, ma di noi le autorità se ne fregano, ci hanno abbandonato».

Tassisti in rivolta

Giovanni Bosso, tassista cagliaritano e sindacalista del Filt, è da giorni fermo. «Ho una malattia pregressa che mi rende ancora più vulnerabile, però anche tutti i ragazzi in strada sono terrorizzati e hanno paura per sé e i propri cari». Fra i tassisti cagliaritani, 105 in tutto, divisi in diverse cooperative, quelli della pandemia sono giorni di lacrime, sangue e terrore. Il lavoro è precipitato del 90 per cento, in aeroporto il traffico è fermo e molti non sanno se riusciranno a pagare mutui e scadenze. «Ci saremmo aspettati l'azzeramento dei contributi previdenziali e delle tasse - attacca Bosso -, invece nel decreto per noi è saltato fuori solo un rinvio. Senza contare la presa in giro dei due milioni di euro stanziati per installare nelle nostre macchine dei divisori: cioè due euro a testa per 50 mila tassisti. Come se poi gli schermi in plexiglass fermassero il virus, una follia».

Schermi fai da te

Già, gli schermi protettivi. Magari non serviranno ma intanto trovarli è impossibile. «Perché? Semplice, in Sardegna non c'è alcuna ditta che li fa, l'unica sta a Bologna ma sono talmente oberati di lavoro che non sanno quando potranno spedirceli - spiega Massimo Orrù -. Ci stiamo arrangiando fra di noi, con delle barriere artigianali fatte in policarbonato e assicurate con dei laccetti. Stiamo facendo da soli anche per mascherine, guanti e amuchina, tutte cose che avrebbe dovuto fornirci il Comune visto che svolgiamo un servizio pubblico e non possiamo fermarci. Io avevo mascherine chirurgiche, poi ne ho trovata una FP1. Ora un amico da Londra forse me ne manderà un pacco di FP3, le più sicure. Ma è tutto un forse». Si va in strada, ma quasi senza motivo. «L'ultima volta ho fatto due corse, in aeroporto c'erano tre voli in tutto il giorno. Non c'è più clientela, se non anziani che vanno a fare la spesa o in farmacia. Percorrere le strade di Cagliari vuote è uno scenario desolante».

Disperazione

Mario Congera, presidente della coop Quattro Mori, la più grande del capoluogo con i suoi 80 taxi, non nega di aver pianto in questi giorni. «Sono preoccupato per i ragazzi - si sfoga - questa è una cosa terribile non la barzelletta che ci hanno fatto credere per settimane. Arrivano 50 chiamate al giorno contro le 600 del periodo normale, su 80 macchine ne lavorano 12. Con la Confcooperative abbiamo ordinato 200 mascherine ma chissà quando arriveranno. Abbiamo mandato una Pec a Regione, Comune e Prefettura per avere supporto ma nessuno ci ha risposto. Se fra i nostri pochi clienti ce n'è uno positivo come fai a difenderti? La verità è che non ci si può difendere da questa cosa». E poi c'è quella sensazione di essere da soli in trincea. «I nostri ragazzi si stanno arrangiando per tutto, dai divisori alle mascherine, non c'è nessuno che ci chiama per dirci almeno "siamo qui". Ci chiedono di fare il servizio pubblico ma siamo allo sbando, non possono far finta di niente, devono sostenerci e aiutarci».

Massimo Ledda

© Riproduzione riservata