«Ho sempre cercato di applicare, nei servizi di ordine pubblico, l’insegnamento di un vecchio dirigente: denunciare un manifestante non è mai una vittoria per noi poliziotti, ma una sconfitta. Significa che non abbiamo svolto al meglio il nostro compito». Aldo Bruni, 60 anni, barese di nascita ma sardo d’adozione, ha messo in pratica tutto questo fino a venerdì, ultimo giorno nella Polizia, in particolare negli oltre vent’anni trascorsi alla Digos. Da ieri è in pensione. E per uno abituato a gestire lavoratori che rischiano di perdere il posto, manifestanti di ogni tipo, sindacalisti e ultras delle squadre di calcio, non sarà facile restare con le mani in mano: «Certamente non andrò in giro a guardare cantieri», promette, sorridendo.

Intermediario

Per spiegare il suo lavoro durante cortei, scioperi, proteste, scorte alle autorità e servizi nelle partite di calcio, ricorda un aneddoto. «Durante una manifestazione a Roma degli operai di Euroallumina, ero in testa al corteo. Avevo già avuto modo di conoscere Antonello Pirotto, storico leader con il caschetto bianco, instaurando un rapporto fatto di rispetto dei ruoli. Alcuni manifestanti sono usciti dal corteo per dirigersi verso l’ambasciata americana. Iniziativa bloccata protamente. Dopo un po’ Pirotto si è avvicinato a me dicendomi: questa è meglio che la prendi tu. Mi ha consegnato una pistola persa da un agente. Ecco, se non ci fosse stato un rapporto di fiducia, chissà quell’arma che fine avrebbe fatto».

Da Borsellino alle piazze

Bruni si è arruolato nel 1990, dopo aver fatto altre esperienze lavorative. Prima destinazione: Palermo, ufficio scorte. Tra i servizi anche quelli a protezione del giudice Paolo Borsellino. Nel 1993 l’arrivo in Sardegna, a Orgosolo, per occuparsi anche dei sequestri di Silvia Melis e Ferruccio Checchi. Nel 1995 il trasferimento a Cagliari: prima al Reparto Mobile, poi come poliziotto di quartiere e infine alla Digos, diventata la sua casa negli ultimi 22 anni. «Ho conosciuto operai, disoccupati, ministri, capi di Stato, due Papi, ultras, sindacalisti, pastori. Al primo posto ho sempre messo la prevenzione: cercare di creare un punto di incontro tra le parti contrapposte, per evitare scontri e problemi». Da qui il lavoro nelle piazze, nelle strade, nei poligoni, nei porti e sotto le sedi istituzionali. «Non sempre siamo riusciti a impedire che la situazione degenerasse», aggiunge. Due le “pagine” più scure: «Gli scontri nel 2008 nel porto di Cagliari, per l’arrivo della nave con i rifiuti campani, e quelli nel 2012 davanti alla miniera di Serbariu. Anche perché le soluzioni alle vertenze non le diamo noi».

Le tifoserie

Con alcuni dialogare non è stato facile. «Le difficoltà maggiori le ho avute con gli antimilitarisi e gli ultras», spiega. «Ma anche con loro ho sempre cercato di trovare un punto di incontro in ogni situazione, anche durante le contestazioni nei poligoni e in ogni stadio». Per gli Sconvolts, Aldo Bruni è “Il Signore”, soprannome che si porta dietro da tempo. «Quello delle tifoserie è un mondo particolare. Mai collaborazione da parte loro, come amano ricordare in uno dei loro cori. Ma siamo riusciti a ottenere un po’ di rispetto dei ruoli. A Firenze, dopo violenti scontri tra i due gruppi opposti, sono rimasto ferito: alcuni dei capi ultras del Cagliari hanno chiesto più volte come stessi. E nell’ultima gara, Fiorentina-Cagliari, mi hanno domandato se fosse previsto un pranzo con loro per il mio pensionamento. Uno dei senatori degli Sconvolts una volta mi ha detto: ci rispettate perché quando lavorate non avete la bava alla bocca». Gli attestati di stima arrivati in questi giorni, sono stati tantissimi. «Mi hanno reso felice». La Polizia gli mancherà. «Mi mancheranno soprattutto i colleghi e lo splendido lavoro di squadra. Il futuro? Di certo sarà a Cagliari».

Matteo Vercelli

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