Siamo alla canna del gas, ma che gli frega, ai signori e alle signore al Governo, se la nostra bolletta costa il 30% in più rispetto agli altri italiani? O del fatto che presto potremmo restare al buio? Entro il 2025, nelle centrali di Fiume Santo e Portovesme, non si potrà più produrre energia bruciando carbone. Alternative? Legambiente ha indicato la via al presidente della Regione. Con due no: al rinvio al 2030 del phase-out (l'addio al carbone, appunto) e alla dorsale per distribuire il metano. La soluzione? Per le centrali due rigassificatori.

E per dare corrente alle grandi aree urbane e industriali Legambiente rilancia sui tre depositi costieri di Gnl, il Gas naturale liquefatto, da rigassificare. A Santa Giusta si lavora, a Porto Torres quasi. A Cagliari no: il deposito in progetto a Giorgino è stato bocciato a son'e corru proprio dagli ambientalisti.

La domanda resta: le centrali andranno a carbone, dal primo gennaio 2026, o a chiacchiere? O, per essere più eleganti, a slogan, oggi di gran moda, in piazza o in Parlamento non fa differenza. Certo, lontano, all'orizzonte, udite udite, c'è l'elettrodotto Sardegna-Sicilia-Continente, operazione da 2 miliardi e 600 milioni di euro messa in piedi da Terna, Cassa depositi e prestiti e Regione Sicilia con il mandato del Ministero dello Sviluppo economico. Soldi spesi bene? Forse non per la Sardegna, che ha già due interconnessioni. Finirebbe per essere una sorta di servitù di passaggio per interessi altrui. Meglio tardi che mai, la politica sarda (con l'eccezione dell'ala più a sinistra e del M5S), finalmente fa squadra sulla dorsale. Si tratta di un tubo di 580 chilometri, diametro 70 centimetri sotto un metro di terra, che accompagnerebbe nelle case (e nelle attività produttive) dei sardi il metano traghettato in Sardegna. Ci sono (quasi) tutte le autorizzazioni ambientali e le risorse, un miliardo e 300 milioni, la metà del preventivo di quell'elettrodotto che serve più ad altri italiani che a noi. Ma ci siamo abituati.

Alessandra Todde, sottosegretaria al Mise in quota Cinque Stelle, sarda di Nuoro, nei giorni scorsi a Cagliari ha detto di parlare con cognizione («Ho lavorato a quattro progetti diversi di metanodotti, so cos'è una dorsale...»), approvando il metano ma non il tubo. Meglio l'elettrodotto siciliano. E i soldi spesi per la metanizzazione della Sardegna? E la "strategicità" mai messa prima in discussione? La Tav insegna. Regione, imprese e sindacati sono in trincea. Anche molti parlamentari sardi del Pd sono insorti, chiedendo al Governo giallo ma anche rosso di parlare con un'unica voce. Una litigiosità che aveva già visto implodere un'altra improbabile alleanza. Con Venezia e mezza Italia sott'acqua, qualche giorno fa Di Maio (azzeccandone una) gelava Zingaretti, che premeva per lo "ius soli" in piena emergenza nazionale, proprio mentre tanti Consigli comunali bruciavano gettoni di presenza in cittadinanze onorarie. Divisi tra sardine e gattini, ormai abituati alle alleanze politiche affidate alla lotteria Rousseau, facciamo fatica a immaginare le nostre case ancora illuminate. In questo contesto surreale abbiamo già evocato il rischio-candele, giusto per scherzarci un po' su. Peccato che non ci sia nulla da ridere.

Emanuele Dessì
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