Quell'immagine, il volto pensieroso e ipnotico di Antonio Gramsci, è diventata il simbolo grafico del più grande intellettuale italiano del secolo scorso. L'ha dipinta Gabriele Cancedda, pittore sessantacinquenne nativo di Gesico ma residente da una vita a Cagliari.

Eppure l'artista non sta godendo del meritato successo. Anzi, scivola sempre più verso una depressione che sta rovinando la sua vita. Tutta colpa di una caduta in un garage che gli ha provocato la frattura di entrambe le braccia, avvenuta otto anni fa. Da allora, continua ad aprire il suo laboratorio nella zona di piazza del Carmine ma non ha più preso in mano un pennello.

"Inizialmente", racconta, "quando sono guarito dalle fratture, non riuscivo più a tenere la mano ferma". Una maledizione per un pittore. "E questo, con il tempo, mi ha fatto cadere in depressione: più mi rendevo conto di non poter usare le mani, più aumentava la depressione. E il problema psichico veniva somatizzato: la condizione della mia mano peggiorava".

Come se non bastasse, qualche anno fa, quando ormai vedeva all'orizzonte la pensione ("Magari, avendo tempo libero, avrei potuto dedicarmi a fare cose che amo: questo, avrebbe potuto migliorare la mia condizione"), è arrivata la "legge Fornero" che lo ha "condannato" ad altri anni di lavoro.

Eppure, nonostante il problema, Cancedda non si arrende: ha creato un'etichetta per un cannonau di Jerzu ("Registrata alla Camera di commercio"), "Rosso di Sardegna", che riproduce l'immagine di Gramsci.

"Un vino che, comunque, ho solo io e regalo agli amici". Ma ora vuole tornare alla sua passione più grande. "Ho sempre dipinto, non certo per vendere i miei quadri. Ecco, sogno di riprendere in mano i pennelli e tornare a dipingere".

Marcello Cocco
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