Sintetizzo le mie considerazioni. La prima, basilare, è che il formaggio sardo (non si parli del latte) è lontanissimo dai mercati e dai consumatori finali.

Ricordo una delegazione dei soliti italiani in Cina, anni fa, che, dopo aver perso il treno del pane (per inciso: noi abbiamo perso tutti i treni immaginabili: caffè, gelato, pizza, pane, ecc.), si accingevano a perdere brillantemente e gioiosamente anche quello del formaggio. «In Cina non mangiano formaggio», ripetevano stolidamente.

I francesi, che di formaggio e di distribuzione invece ne capiscono e ne masticano dal 1700, senza tanto preoccuparsi per i cinesi, facevano con me questo conto: «Centoventi milioni almeno di turisti all'anno in Cina per cinque giorni ciascuno richiedono seicento milioni di colazioni con formaggio di qualità. Questa è la base di partenza per dimensionare il mercato cinese».

All'ultimo brunch fatto a Singapore, al Fullerton, sul tavolo c'erano decine e decine di formaggi francesi, di ogni forma e tipo, e un solo formaggio italiano (a parte il parmigiano che è storia a parte), mediocre, biancastro e indifferenziato.

Ritornando alla Sardegna: che formaggio sardo portiamo all'estero? Su quali mercati? Chi conosce il formaggio sardo di qualità? Partiamo da queste domande perché, colpevolmente, la Regione non ha mai promosso la Sardegna all'estero in maniera professionale e sistematica, e la Sardegna non è mai "sbarcata" in Asia, il mercato più grande e ricco e col maggiore sviluppo.

I produttori sardi si sono seduti su un concetto di Pecorino Romano che in breve è diventato una commodity (merce indifferenziata, sostituibile, a basso valore) e fondamentalmente si sono accontentati del mercato americano che lo assorbiva (oggi essenzialmente per metterlo nei sughi e grattugiarlo).

Quando il mercato americano è entrato in crisi, noi non abbiamo avuto un'alternativa e oggi lo paghiamo amaramente; non è stata finalizzata una ricerca avanzata sulle diverse tipologie di formaggio in genere, né tantomeno sull'utilizzo del latte pecorino (che cosa fa l'Università? Ricordo che la ricerca e il successo dei vini americani della Napa Valley sono fortemente dovuti all'University of California di Davis); il latte pecorino sardo (ottimo e certificato, al contrario del latte rumeno, bulgaro, ecc.) è stato qualificato come inferiore, buono solo per fare un formaggio mediocre e indifferenziato. Ergo, non casualmente, non solo il latte sardo è una commodity minacciata dal latte dell'Est, ma lo stesso formaggio sardo è nel mondo una triste commodity.

Tutte le nostre eccellenze (si pensi, una per tutte, al formaggio di Olzai col caglio vegetale, che, quando disponibile, in Asia va a ruba) non sono valorizzate, comunicate, distribuite.

L'industria sarda del formaggio è in grave crisi attuale e prospettica. Nonostante la posizione quasi monopolistica negli acquisti del latte e l'assistenzialismo, è debolissima ed evanescente sui mercati. Ha avuto qualche anno fa circa 45 milioni dalla giunta Pigliaru, indirettamente di aiuto ai pastori, e avrà altrettanto o di più questa volta. Si fa assistenzialismo a un settore del formaggio senza sbocchi e fantasia per assicurare un dignitoso prezzo di vendita del latte ai pastori.

La strada di soluzione passa inevitabilmente per un progetto strategico che avvicini i nostri prodotti (latte compreso) ai mercati. Nell'arco di ventiquattro mesi si possono mettere a punto: un paniere di quaranta nuovi tipi di formaggio pecorino e caprino, con brand, formato e packaging innovativi e attrattivi per i mercati esteri; un completamento di prodotti derivati dal latte pecorino e caprino (alimentari, medicali, cosmetici, etc.); un marketing internazionale basato sui concetti di Blue Zone, longevità, lotta al cancro, ecc; una rete commerciale estera e accordi internazionali; una piattaforma logistico-distributiva per i nostri prodotti e per il nostro latte sfuso di pecora e capra "100% latte sardo"; una rete di piccoli caseifici zonali specializzati e di laboratori di ricerca e controllo qualità. È l'unica strada d'uscita, non perdiamola.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
© Riproduzione riservata