Tre del mattino. Il villaggio è sopito. Qui, dall’altra parte del mondo, terra di perenne carestia al confine con la più copiosa fabbrica di petrol dollari, non esiste illuminazione pubblica. Le strade sono impercorribili tracciati sterrati nel deserto. Quelle che non si possono chiamare case sono un cumulo di blocchetti, grigi e perforati, senza finestre. I letti sono giacigli, per adulti e bambini. La vita è povera e incerta nel profondo Yemen. L’anima è intrisa di sangue in una terra contesa tra miseria e petrolio.

Quel sibilo di morte

Il silenzio della notte è solo il preambolo del più devastante sibilo del cielo, quello che irrompe con l’incedere della morte che si schianta nel vuoto delle tenebre. E’ l’otto ottobre del 2016, una delle tante notti alla “rinfusa” nel cuore di Deir Al-Hajari, un villaggio povero come nemmeno la più fervida immaginazione può descrivere. Yemen nord-occidentale, confine estremo della vita appesa al niente. Settemila chilometri dalla terra dei Nuraghi. I jet supersonici, quelli dei ricchi emiri dell’Arabia Saudita, sono armati di petrolio e bombe. Quando irrompono nel cielo yemenita l’unica difesa di quei poveri “Cristi”, asserragliati nel precario dormiveglia notturno, sono le mani strette sulle orecchie. Illusorio tentativo di attutire il boato che viaggia sulle loro teste alla velocità della luce.

Carneficina & prove

Illusione, appunto. L’ennesimo attacco volante della Royal Saudi Air Force, la flotta dell’aeronautica militare dell’Arabia Saudita, non gli lascia scampo. Il villaggio si scioglie come neve al sole sotto i colpi di bombe nefaste. E’ una carneficina. Una famiglia di sei persone, tra cui una madre incinta e quattro bambini, è dilaniata senza speranze. Muoiono tutti. Prima di raggiungere il villaggio devastato passeranno ore. In questa terra devastata non esistono ambulanze a portata di mano, l’elisoccorso non sanno nemmeno cosa sia. La prima ad arrivare sul posto è un’organizzazione umanitaria yemenita, Mwatana Organization for Human Rights, veri e propri kamikaze del primo soccorso. Provano in ogni modo a rianimare quel che ormai ha già lasciato la vita terrena. Non gli resta che ricomporre quelle piccole creature ormai prive di un domani, falciate dalla violenza esplosiva caduta dal cielo. L’alba è devastazione. Resti di bombe e vittime ovunque. Tra le macerie spunta di tutto, comprese sigle e numeri, tutto deformato dall’impatto devastante con il suolo. Lamiere d’acciaio vergate con tanto di impronte alfanumeriche, quelle degli autori dell’ennesima strage di innocenti in terra di Yemen. Il prelievo di quei residuati bellici, segnati da codici identificativi, non è lasciato al caso. In quella terra depredata dal cielo tutti sanno che per fermare la guerra occorre bloccare in ogni modo quel mercato di armi che da ogni parte del mondo approvvigiona la coalizione saudita.

Circuito letale

Un circuito letale tra dollari, petrolio e armi, dove la perversione della ricchezza si trasforma in genocidio. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità tra il 19 marzo e il 5 maggio 2015 sono state uccise 1.439 vittime civili. Dall’inizio degli attacchi della coalizione saudita si contano oltre 3.000 morti e 10.000 feriti. Venti milioni di persone sono rimaste senza casa, nella fame assoluta di una carestia descritta come la più grave del mondo. Per quel motivo quando quei pezzi di metallo trafitti dai codici impressi con il laser arrivano agli esperti delle Nazioni Unite non ci sono fronzoli: quei resti di bombe e un anello di sospensione hanno un nome e un cognome: Rwm Italia S.p.A., la società controllata dal produttore tedesco di armi Rheinmetall AG, dislocata nel Sud Sardegna, proprio alle pendici del Marganai, nell’isola amministrativa del territorio di Iglesias, sotto l’egida del Comune di Domusnovas. L’accordo è da far accapponare la pelle. I ricchi tedeschi vendono quelle bombe ai ricchi emiri sauditi. Quattrocento milioni di euro di bombe.

Il business tedesco

La Germania, per il suo business di armi, preferisce, però, non scalfire la propria coscienza. Le bombe, quelle che hanno devastato lo Yemen e ucciso tanti innocenti, i tedeschi le producono nel povero Sulcis, ridotto al lumicino, costretto ad aggrapparsi ad una fabbrica di armi letali, con modesti contratti interinali, provvisori come pochi e senza alcun lauto compenso. I sauditi, invece, i ricchi emiri del petrolio, le armi comprate dai ricchi tedeschi, prodotte nel sud Sardegna, le lanciano addosso ai poveri villaggi dello Yemen. Prendono di mira ospedali, scuole, pulmini pieni di bambini e civili. Tutto impunemente.

La denuncia

Sino a quando gli angeli del soccorso estremo non prendono carta e penna. L’European Center for Constitutional and Human Rights, il rappresentante di Mwatana Organization for Human Rights e il legale rappresentante dell’Osservatorio Permanente sulle armi e le politiche di sicurezza, non ci stanno alle morti impunite. Il dossier è circostanziato come pochi, con documenti e prove schiaccianti. L’accusa è senza appello: l’industria tedesca in terra sarda deve essere perseguita penalmente insieme a coloro che hanno rilasciato le autorizzazioni di vendita di quelle bombe. Il plico scavalca l’emisfero, per arrivare direttamente alla Procura della Repubblica di Roma. Sotto attacco internazionale ci sono le autorizzazioni rilasciate alla Rwm da parte del Ministero degli Esteri italiano. Le organizzazioni umanitarie le ritengono illegittime in quanto contrarie alle norme di diritto interno ed internazionale.

Vendite fuorilegge

Ad essere violata, secondo le Organizzazioni umanitarie, è la legge 185 del 1990. Una norma che vieta la vendita, il trasporto e il transito sul territorio italiano di bombe e armamenti destinati a Paesi che violano le norme di diritto internazionale in materia di guerra. La denuncia è circostanziata. I documenti acquisiti da parte della Procura di Roma al Ministero degli Esteri, però, non sono sufficienti a chiarire responsabilità e omissioni. E’ anche per questo, forse, che il Pubblico ministero chiede l’archiviazione per tutti i protagonisti di questa vicenda.

Niente archiviazione

La richiesta di dimenticare per sempre quelle morti in un armadio, però, non va giù al Giudice per le indagini preliminari, Roberta Conforti. La sua è una decisione forte e chiara: «La richiesta del Pm - scrive negli atti giudiziari in nostro possesso - non può trovare accoglimento». Sotto esame del Giudice sono finiti i tempi di quelle autorizzazioni alla vendita di quelle bombe all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi. Secondo gli atti nelle mani del Giudice, sia i funzionari del Ministero degli Esteri per l’Unità per le autorizzazioni alla vendita di armamenti all’estero, che i vertici della Rwm di Domusnovas sarebbero stati consapevoli del rischio che quelle bombe sarebbero potute finire sui civili.

Il caposaldo della vita

E, poi, negli atti giudiziari scolpisce un principio fondante del diritto alla vita:«Non convince nemmeno l’ulteriore argomento addotto dal Pm, ossia la finalità di garantire l’interesse pubblico del mantenimento dei posti di lavoro». Un assunto che il Giudice stronca senza mezze parole: la scusa di «salvaguardare posti di lavoro non può, nemmeno in astratto, giustificare una consapevole, deliberata violazione di norme che vietino l’esportazione di armi verso Paesi responsabili di gravi crimini di guerra contro le popolazioni civili». I documenti sono inchiodanti: «Sia le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che del Parlamento Europeo, avevano deciso per l’embargo della vendita di quelle armi agli Stati responsabili di quei crimini». La conclusione è secca: «La richiesta di archiviazione è respinta».

Indagati nel registro

La disposizione è senza appello:«il Pubblico Ministero proceda all’iscrizione nel registro degli indagati dei direttori pro-tempore dell’Uama e degli amministratori delegati di Rwm Italia, dal 2015 fino alla data in cui è stata rilasciata l’ultima autorizzazione all’esportazione». I tempi assegnati al P.M. per le nuove indagini sono scaduti. Il fascicolo con nuove prove potrebbe ritornare a giorni sul tavolo del Giudice. Il Tribunale, a quel punto, dovrà decidere se quelle stragi di innocenti, martoriati con le bombe tedesche prodotte in Sardegna, resteranno impunite.

 (2. continua)

© Riproduzione riservata