Fino alla fine non ha rinunciato a prendere posizione e a raccontare sul web le sue battaglie. Michela Murgia è morta ieri a Roma, a 51 anni.

L’autrice di Cabras aveva rivelato pochi mesi fa di avere un carcinoma renale al quarto stadio.

Protagonista del mondo letterario, ha scritto “Il mondo deve sapere”, un romanzo tragicomico nato dalla sua esperienza come venditrice telefonica nei call center, nel 2010 il grande successo di “Accabadora” con il quale ha ricevuto il premio Super Mondello e il Campiello, nel 2011 “Ave Mary”, riflessione senza filtri sul ruolo della donna nel contesto cattolico. E ancora, tra gli altri, il saggio breve sul femminicidio “L'ho uccisa perché l'amavo. Falso!”, “Futuro interiore”, “L'inferno è una buona memoria”, e poi l'ultimo “Tre ciotole - Rituali per un anno di crisi”, entrato subito in testa alle classifiche di vendita: un romanzo che si apriva sulla diagnosi di cancro, un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva.

Sui social compare, fra i post più recenti, la critica alla decisione della Rai di cancellare dai palinsesti il programma di Roberto Saviano, “Insider” e, qualche giorno dopo, il messaggio dall'ospedale, il sorriso e le cannule nasali dell'ossigeno, per aggiornare amici e fan sulle sue condizioni - «posso stare meglio, ma non bene» - e «ringraziare» della possibilità di curarsi, «in barba a chi demonizza chi paga le tasse».

Porta la data del 5 agosto l'affondo contro il sindaco leghista di Ventimiglia per aver impedito ai migranti che passano la frontiera di rifornirsi di acqua al cimitero.

Il 15 luglio si era sposata “in articulo mortis” con Lorenzo Terenzi, con la precisazione: «Non è una festa. Lo abbiamo fatto controvoglia: se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato, che ci costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un'esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo. Niente auguri, quindi, perché il rito che avremmo voluto ancora non esiste. Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere».

Circondata dalla sua queer family di dieci persone e dai suoi quattro figli "d'anima" (il più grande di 35 anni, il più piccolo di 20), Murgia ha affrontato le ultime fasi della malattia: «Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa», aveva detto a maggio al Corriere, rivelando che, dopo il primo cancro al polmone di anni fa, il tumore era tornato al rene e le metastasi avevamo già raggiunto i polmoni, le ossa, il cervello. «Ma non chiamatemi guerriera, odio i militari», aveva avvertito in un affollatissimo incontro pubblico all'ultimo Salone del Libro di Torino. «Se sono stanca di essere antagonista? In un Paese normale, civile, quello che faccio io lo fanno gli intellettuali e nessuno viene trascinato in tribunale. È l'unico Paese che si definisce democratico dove gli intellettuali sono perseguitati dal potere», aveva detto con forza in quella occasione. «In un mondo di vili tutto è un atto di coraggio. Io dico quello che penso».

Grande il cordoglio sui social, dove si affollano in queste ore tantissimi messaggi. 

Per il Consiglio regionale della Sardegna il presidente Michele Pais ha espresso il dolore per questa drammatica notizia: «Una grande perdita per la nostra terra. La sua vivacità intellettuale ha arricchito la democrazia».

(Unioneonline/s.s.)

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