Ogni anno in Italia 13mila imbarcazioni forniscono ai consumatori italiani circa 180mila tonnellate di pesce, pescato nei mari che bagnano la Penisola.

Questa la fotografia del settore fornita da Coldiretti nel suo ultimo rapporto.

Scorrendo i numeri, salta all'occhio l'aumento dei consumi (+5%), ma anche dati allarmanti.

Innanzitutto, la crisi che ha colpito il comparto negli ultimi decenni: basti pensare che dalla fine degli anni Ottanta a oggi si sono persi il 35% dei pescherecci e quasi 20mila posti di lavoro.

Ma a pesare è, anche e soprattuto, l'invasione di pesce "straniero" e regole di etichettature spesso non ferre che lasciano spazio a "inganni": dal pangasio del Mekong venduto come cernia al filetto di brosme spacciato per baccalà, fino all'halibut o la lenguata senegalese commercializzati come sogliola. E ancora: il polpo del Vietnam spacciato per nostrano, lo squalo smeriglio venduto come pesce spada, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto, il pagro invece del dentice rosa o le vongole turche e i gamberetti targati Cina, Argentina o Vietnam, "dove peraltro è permesso un trattamento con antibiotici che in Europa sono vietatissime in quanto pericolosi per la salute", precisa Coldiretti.

Di qui la battaglia degli addetti ai lavori per garantire una sempre maggiore trasparenza dell'informazione ai consumatori.

In particolare, Coldiretti Impresapesca consiglia di verificare sempre la presenza, sulle etichette del pesce in vendita, i numeri identificativi delle area di pesca nostrane (Gsa).

Ovvero: Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale). Guardando all'Europa, secondo Coldiretti sono da preferire, anche per evitare sorprese, le Gsa 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta).
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