In soli 5 anni, dal 2017 a oggi, le province di Oristano, Nuoro e Sud Sardegna hanno perso oltre il 5 per cento della popolazione. La situazione è leggermente migliore per il Sassarese e la Città Metropolitana di Cagliari, che riescono in qualche modo a “contenere i danni”.

Una valutazione che è emersa oggi a Iglesias nell’ambito della presentazione del Rapporto annuale emigrazione redatto dal Centro Regionale Emigrazione-Immigrazione delle ACLI, in occasione dell’incontro organizzato dalla Società operaia industriale di mutuo soccorso di Iglesias, e che ha messo in luce tutti i problemi legati allo spopolamento e all’emigrazione, soprattutto dei giovani.

In Sardegna, è stato spiegato, solo 7 Comuni superano la soglia di 30mila abitanti (Cagliari, Sassari, Quartu, Olbia, Alghero, Nuoro, Oristano), 16 oltrepassano i 15mila. Nei primi 20 Comuni c’è oltre la metà degli abitanti dell’Isola, la restante parte vive negli altri 357 Comuni.

Per fornire qualche dato, analizzando i territori con un saldo naturale negativo (quindi la differenza tra nati e morti), al primo posto c’è Bidonì (-3,73 per cento), con un saldo positivo Elini (0,54 per cento). In ambito migratorio, il primo Comune per saldo negativo è Pompu (-5,26 per cento), con saldo positivo Semestene (11,63 per cento).

Dove vanno tutte queste persone giovani che partono? In base all’elaborazione Crei (Centro regionale emigrazione immigrazione)-Iares su dati Aire del 2021, è la Germania a farla da padrona con quasi 8mila presenze (7.978), seguono la Francia con 5.218 e il Belgio con 3.450.  

Gli over 65 sardi scelgono invece in gran parte Francia e Germania (5.203 presenze per la prima, 5.187 per la seconda).

Tra i vari interventi, quello di Alberto Sechi, presidente della Società operaia industriale di mutuo soccorso, fondata nel 1984 e che è attiva in particolare in campo culturale e di valorizzazione del territorio del Sulcis Iglesiente.

“L’iniziativa di oggi – spiega a L’Unione Sarda – ha un interesse prevalentemente territoriale, con un focus specifico sui centri di quest’area per la quale spesso è difficile reperire i dati. Importante è l’interlocuzione con le amministrazioni locali anche per organizzare dei programmi che affrontino il problema dello spopolamento e dell’emigrazione, e proprio dando voce ai sardi nel mondo, collegati in videoconferenza, abbiamo esaminato varie tematiche”.

Chi sono questi emigrati?

“Sono giovani e meno giovani con esperienze in varie parti del mondo, e anche dei rappresentanti storici del mondo dell’emigrazione come Rossana Ghessa, che è partita dal Sulcis e a Rio è diventata una star del cinema e della produzione cinematografica, o Angela Licciardi, figlia di un iglesiente emigrato nel 1953, ma che da San Paolo del Brasile ha sempre mantenuto rapporti molto stretti con Iglesias, è venuta persino qui a sposarsi”.

Sardi che vorrebbero tornare?

“Non necessariamente. A volte si tratta di un desiderio non legato alla nostalgia. Penso a Paolo Pitzolu, che ha lavorato in cantieri di mezzo mondo e poi ha deciso di mettere a frutto le sue competenze per rimettersi in gioco a Iglesias dove da 5 anni ha una cantina con una produzione che comincia a essere di valore. Ha vinto una scommessa con se stesso”.

Niente valigia di cartone ormai.

“Ma no, prima si partiva con le lacrime, e la grande nostalgia della terra che si lasciava, parliamo di anni in cui anche solo telefonare ai familiari rimasti in Sardegna era un lusso. Oggi ci si muove nel mercato del lavoro, ma è chiaro che il nostro territorio soffra per tutti questi giovani che vanno a studiare sulla penisola o all’estero e poi non tornano, è un problema per tutta la comunità”.

È più difficile partire o tornare?

“Pitzolu, come dicevo prima, è riuscito a tornare, ma parliamo di un settore, quello enologico, in cui evidentemente c’erano le condizioni. Perché questo è il punto: molti hanno esperienze e competenze che in Sardegna potrebbero non poter mettere a frutto. E c’è da dire anche che molto spesso chi assume un neolaureato chiede pure un’esperienza. E come si fa?”.

Quali risposte sono emerse oggi?

“Varie e soprattutto interlocutorie: è difficile pensare di tornare, c’è il desiderio, poi si chiedono ‘se torno cosa faccio?’. E persino restare non è una scelta semplice. Sono stato allievo di Nereide Rudas, diceva sempre che l’emigrazione sarda si caratterizza per l’aspetto nostalgico. Ai giorni nostri è diverso, si è lontani ma con i mezzi di comunicazione moderni ci si vede e ci si sente anche ogni giorno. E gli emigrati non sono neanche più ‘lagnosi’, mi si consenta il termine, come una volta”.

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