Il fascicolo di “guerra” è precluso ai comuni mortali. Nella banca digitale del Consiglio di Stato possono accedere solo i togati chiamati in causa. Per il resto solo un numero in codice: Nrg. 202208145. Il ricorso irrompe a Palazzo Spada, sede romana del secondo grado di giudizio amministrativo, il 26 ottobre scorso, a cavallo tra la fiducia alla Camera e al Senato per il nuovo Governo. L’oggetto è inequivocabile: «Appello avverso sentenza nel rito abbreviato ex art.119 del Codice Processo Amministrativo». Sotto accusa c’è una sentenza, quella del Tar Lazio di un mese fa, con la quale i Giudici di Roma hanno respinto il ricorso della Regione «Autonoma» della Sardegna che aveva dichiarato guerra al Decreto Energia firmato dal governo Draghi che di fatto commissariava l’Isola.

Guerra santa

Un ricorso che si annuncia come una “guerra santa” tra Stato e Regione che va ben oltre la stessa questione energetica. In ballo, infatti, c’è l’esistenza stessa della Regione Sarda, intesa come Regione a «Statuto Speciale», con competenze e poteri tutelati, teoricamente, dalla stessa Costituzione. Teoricamente, appunto. La sentenza del Tar Lazio, con la quale sono state respinte in toto le argomentazioni della Regione, è, infatti, un vero e proprio colpo di spugna a prerogative statutarie e costituzionali riservate alla Sardegna. Peggio è un colpo basso, anzi bassissimo, al buon senso e alla coesione nazionale. Una di quelle sentenze scritte con la clava dello statalismo più becero, un neo centralismo di Stato tale da far sobbalzare anche il più ardito difensore dell’Unità nazionale. I Giudici di Palazzo Spada sono riusciti laddove nemmeno un “padanista” convinto sarebbe arrivato: far passare la Regione sarda come carnefice dello Stato piuttosto che vittima di un decreto scritto dal Governo di Cingolani & Company per affossare equità, solidarietà, coesione e buon senso. Il ricorso della Regione, dunque, non è solo un atto politico, ma soprattutto una reazione dovuta, anzi obbligata, nei confronti di una sentenza che “svillaneggia” lo Statuto e le competenze autonomistiche.

Atto politico

Il testo dell’impugnazione è per adesso secretato, ma la sola presentazione costituisce un fatto rilevante non solo sul piano giudiziario ma anche e soprattutto politico. Un ricorso che apre un contenzioso diretto con lo stesso governo Meloni. Il tema è dirimente: il cosiddetto “governo amico”, giunta e governo Meloni sono di centrodestra, se mai potesse esisterne uno, è pronto a revocare quel decreto oppure, costituendosi nel secondo grado di giudizio al Consiglio di Stato, lo avvallerà come se fosse proprio? È fin troppo evidente che la partita è rilevante, sia sul piano politico che sostanziale. Un dato emerge con evidenza: la Meloni è stata la più feroce oppositrice del governo Draghi che sul tema dell’energia si è guadagnato i più sprezzanti giudizi dell’opposizione e non solo.

Coerenza & revoca

Se la coerenza e la logica in politica non fossero suppellettili il risultato sarebbe scontato: revoca immediata di quel decreto proposto dal Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani e controfirmato dal premier Draghi. Peccato che, ancor prima del passaggio della campanella dalle mani del banchiere d’Europa fattosi inquilino di Palazzo Chigi a quelle della “Giorgia” nazionale, Cingolani, il più fulgido alfiere della politica energetica di Draghi, sia rientrato dalla finestra.

Cingolani double face

Non è un mistero, infatti, che proprio lui, sia diventato di punto in bianco il primo consigliere-consulente del nuovo Presidente del Consiglio, già leader dell’opposizione. Per capire se il nuovo Governo perseguirà la strada che contestava sino a qualche settimana fa bisognerà, però, attendere l’atto di costituzione dell’avvocatura di Stato. In attesa della partita politica ora si inizia quella giudiziaria. La difesa della Regione è duplice: sostanziale e costituzionale. Del resto la sentenza del Tar Lazio appare anche all’esame dei più rigorosi giuristi un’ecatombe delle più elementari norme costituzionali e statutarie. È il presupposto di tutta la sentenza a gridare allo scandalo quando si afferma che il “gas” non rientra nella potestà legislativa dello Statuto autonomo della Sardegna, approvato nel lontano 26 febbraio del 1948, ovvero 74 anni fa. Un’interpretazione che sintetizza una visione enunciata senza pudore: lo Stato può fare quello che vuole. Peccato, però, che la “Carta costituzionale Sarda” assegna alla Regione la competenza in materia di “produzione e distribuzione elettrica”.

Vulnus costituzionale

Un vulnus dal quale, poi, i togati del Tar Lazio fanno discendere tutta un’altra serie di evidenti violazioni dell’Autonomia regionale a partire dalla cancellazione dell’obbligo di “intesa” tra Stato e Regione, presupposto costituzionale stringente per le materie “concorrenti”. I Giudici del Tar Lazio in quella sentenza ora impugnata non solo avevano raso al suolo le norme “speciali” ma avevano precostituito argomenti in grado di impedire anche il pronunciamento della Corte Costituzionale.

Sardegna violata

Quel pari grado tra Stato e Regioni per i giudici del Tar Lazio non esiste e lo scrivono senza mezzi termini: «A ben vedere, la materia in esame è da ritenere oggetto di competenza legislativa esclusiva dello Stato». Tutto questo per l’aberrante presupposto che il “gas” non rientri, secondo la visione dei giudici del Tar laziale, nel tema della produzione di energia elettrica. È proprio quell’approccio che “viola” il dettato autonomistico ad aver indotto la Regione ad impugnare la sentenza. La guerra sull’energia tra Stato e Regione è appena agli inizi.

(1.continua)

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