«Intravedo rischi per le autonomie speciali. La Sardegna e le altre Regioni a Statuto speciale finiranno per perdere terreno rispetto a quelle più forti che acquisirebbero maggiori poteri con l’autonomia differenziata».

La riflessione di Gaetano Azzariti, docente di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università “La Sapienza” di Roma, prende le mosse dal dibattito sull’autonomia provocato dalla bozza di riforma presentata dal ministro degli Affari regionali Calderoli.   

«Tutto questo poi – spiega il giurista - rischia di vanificare il riconoscimento nella nostra Costituzione del principio di insularità che in realtà era già richiamato in Costituzione prima della riforma del 2001, poi abbandonato, e che recentemente ha avuto una definizione compiuta. Si tratta di un principio di grande rilievo per la Sardegna, ma che ha bisogno di essere accompagnato e sostenuto nei prossimi mesi con atti conseguenti».

Professore, che cosa non la convince?

«C’è una corsa all’appropriazione delle funzioni (tutte quelle collegate alle materie indicate nell’articolo 116, terzo comma) che finisce per offuscare il vero principio che dovrebbe costituire la bussola per legittimare la più ampia autonomia: quello della “differenziazione” che dovrebbe collegare il decentramento ai diversi bisogni delle regioni. Solo per fare un esempio, si dovrebbe tener nel massimo conto della peculiarità che deriva dal vivere in Sardegna (o in altre isole), che necessariamente comporta una situazione di svantaggio in materia di collegamenti aerei e marittimi da e per il Continente. Assicurare una più ampia autonomia e maggiori garanzie, anche al fine di permettere investimenti adeguati, appare necessario al fine di rispettare il principio d’eguaglianza tra tutti i cittadini italiani. Appare cioè necessario differenziare fornendo maggiori servizi di trasporto per assicurare il diritto dei sardi a viaggiare per motivi di lavoro e di salute o anche semplicemente per turismo. E così potrebbe dirsi per altre peculiarità in altre parti del territorio che dovrebbe spingere ad estendere l’autonomia per assicurare il diritto alla salute o quello all’istruzione in parti del nostro paese – piccole isole o territori senza strutture adeguate - prive di ospedali o scuole».

Che cosa fare?

«Ritengo che si debba ripartire guardando ai bisogni e alle peculiarità dei territori, in linea con quello che ci dice la Costituzione quando condiziona il riconoscimento e la promozione delle autonomie all’unità ed indivisibilità della Repubblica. Una riforma deve prendere necessariamente le mosse da questo presupposto».

Quali sono i punti deboli della proposta di autonomia differenziata su cui si discute in questi giorni?

«Non c’è grande chiarezza. Viene prospettata un’autonomia differenziata “a prescindere”. Voglio dire che pur in assenza dei presupposti necessari (la definizione dei livelli essenziali di prestazioni che dovrebbero essere rispettati in tutto il territorio nazionale e un sistema di attribuzione delle risorse calcolato con riferimento ai costi e fabbisogni standard) si pretende tuttavia di trasferire le funzioni e i relativi poteri alle Regioni che ne facciano comunque richiesta. Confidando che prima o poi i necessari livelli essenziali delle prestazioni verranno definiti dal Parlamento e che si potrà superare l’iniquo criterio della spesa storica. Ma se ciò non è stato fatto sin qui, perché dovrebbe succedere dopo, quando non c’è neppure lo stimolo dettato dalla volontà delle Regioni oggi più avvantaggiate di assicurarsi ulteriori forme di autonomia?».

Quale è il rischio?

«Quello di spaccare l’Italia, con l’accentuazione di nuove e gravi sperequazioni tra territori. Tra nord e sud, ma anche tra Regioni a statuto speciale, Regioni a statuto ordinario e regioni con condizioni particolari di autonomia. Una “Babele” che questa ipotesi di autonomia differenziata porta con sé. Non mi pare la soluzione migliore, meglio fermarsi e tornare a riflettere sullo stato delle autonomie e le ragioni della differenziazione».

«Sono pronto a riscrivere la bozza sull'autonomia differenziata», ha detto il ministro Calderoli, per poi aggiungere: «Sono convinto che questa sia la volta buona per il federalismo».

«Il “federalismo” è uno slogan, dietro può nascondersi qualsiasi cosa, anche un separatismo di fatto. Personalmente penso sarebbe più utile fare riferimento alla nostra tradizione storica che trova le sue radici nel pensiero repubblicano e federalista di intellettuali come Cattaneo e Ferrari».

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