Il tempo è stato clemente e la decima edizione della rassegna regionale “Su Piriciò” è stata un successo a Villanovaforru. Mille persone sono accorse da tutto il Sud Sardegna e oltre, riversandosi e animando una piazza Costituzione addobbata a festa. Il protagonista indiscusso della serata era Su Piriciolu, un prodotto della tradizione contadina. La rassegna era in forse per via dell’acquazzone che si è abbattuto nel paese durante il pomeriggio.

Su Piriciolu è una bevanda d’uva che non può considerarsi un vino vero e proprio, la normativa in materia non glielo consente. È pronto dopo circa un mese dalla vendemmia ed è ottenuto dalla pressatura delle vinacce con l’aggiunta di acqua appena intiepidita e una piccola percentuale di mosto (o zucchero) che fa ripartire la fermentazione. Il prodotto può essere visto come uno dei simboli della povertà che ha caratterizzato la cultura contadina, o può essere anche interpretato come simbolo di sopruso perché era il vino che is meris (i proprietari) davano a is serbidoris (ila servitù, i lavoratori), poiché questi non erano ritenuti degni di bere un vino fatto di sola uva.

E in gara, di queste bevande, ce n’erano 31, provenienti da alta e bassa Marmilla: da Collinas, Furtei, Gonnosnò, Gonnostramatza, Mogoro, Sanluri, Sardara, Segariu,Villamar e Villanovaforru. A spuntarla, per il premio della giuria tecnica, il piriciolu numero 28, prodotto dal villanovese Antonio Pusceddu. Il premio della giura popolare va alla bevanda numero 5 prodotta da Efisio Mandis, anch’egli villanovese. Tutti gli altri prodotti sono arrivati secondi a pari merito.

«La manifestazione ha l’intento di riscoprire le tradizioni contadine promuovendo l’unicità e genuinità dei prodotti alimentari», come dicono dalla Confraternita Don Piriciò, un gruppo di venti persone del luogo, appassionati alle tradizioni, che dalla prima edizione organizza la rassegna. Ma in piazza Costituzione erano a disposizione tanti prodotti tipici: salumi, formaggi e piatti caldi della tradizione come pasta e fagioli e trippa con ceci.

Su Piriciolu, nelle sue varianti locali, è una bevanda ben conosciuta sin dall’antichità. Già i Romani ottenevano un secondo vino dalle fermentazione degli scarti della torchiatura con aggiunta di acqua, che chiamano vinum secundarium. In Ciociaria e nel basso Lazio, ma anche in Toscana e Campania, il prodotto è ben noto con il nome di acquata, e a Patrica si tiene una sagra. In Puglia prede il nome di lu vin d’ li muort perché è bevibile per le feste di ognissanti. In Calabria è chiamato prurz.

Nell’Argentario c'è il detto il contadino vende ’l vino e beve la vinella, come a indicare il ricordo del popolo operoso che non buttava nulla e sapeva arrangiarsi, trasformando uno scarto in una risorsa per il sostentamento della famiglia. In Emilia è detto puntalone, in Romagna mezzanino o acquadez. In Veneto è el vin picolo o graspia in Valpolicella, come citato da Goldoni nel 1755. Tanti nomi diversi per un prodotto simile che fa parte della memoria contadina e non deve essere dimenticato.

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