Buone notizie sul fronte della lotta ai tumori: nella Giornata mondiale contro il cancro, che si celebra oggi in tutto il mondo, l'Associazione italiana di oncologia medica Aiom ha reso noti i dati secondo cui oggi in Italia sono circa 3,6 milioni i cittadini vivi dopo la diagnosi di tumore, con un incremento del 37% rispetto a 10 anni fa.

Aiom lancia, però, anche un allarme: a causa della pandemia sono oltre 2 milioni in meno gli screening effettuati nei primi 9 mesi del 2020. E i ritardi nelle diagnosi precoci, avverte il presidente Giordano Beretta, "possono causare un aumento della mortalità. I programmi di prevenzione devono quindi essere riavviati quanto prima e finanziati con più risorse".

Nel 2020, secondo i dati diffusi da Aiom al convegno nazionale sullo stato della cura del cancro in Italia, sono state stimate 377mila nuove diagnosi di tumore, circa 6.000 casi in più del 2019.

Dall'altro lato, però, almeno 1 paziente su 4 (quasi un milione di persone) è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e può considerarsi guarito. Risultati importanti, ottenuti grazie a terapie sempre più efficaci e alle campagne di prevenzione, che però rischiano di essere compromessi dalla pandemia.

Il minor numero di screening effettuati nel 2020, infatti, ha portato ad una netta riduzione non solo delle nuove diagnosi di tumore della mammella (2.793 in meno) e del colon-retto (1.168 in meno), ma anche delle lesioni che possono essere una spia di quest'ultima neoplasia o del cancro della cervice uterina.

Se la situazione "si prolunga, diventa concreto il rischio di un maggior numero di diagnosi di cancro in fase avanzata, con conseguente peggioramento della prognosi, aumento della mortalità e delle spese per le cure", è l'allarme di Giordano Beretta, presidente Aiom. Il ritardo diagnostico accumulato, avverte, "si sta allungando ed è pari a 4,7 mesi per le lesioni colorettali, a 4,4 mesi per quelle della cervice uterina e a 3,9 mesi per carcinomi mammari. Sono le conseguenze indirette della pandemia".

Già in epoca pre-Covid, inoltre, "il personale allocato ai programmi di prevenzione era appena sufficiente a svolgere l'attività di base. E, in alcune regioni, il personale, che durante la prima ondata era stato riconvertito a supporto dell'emergenza, non è stato ancora completamente riallocato allo screening, di fatto minando la capacità di ripresa dei programmi".

Dunque, afferma Beretta, "chiediamo, da un lato, che sia mantenuta la completa separazione dei percorsi fra pazienti Covid e non Covid, perché le cure anti-cancro devono continuare in sicurezza anche durante la pandemia. Dall'altro lato, sono necessari il riavvio immediato degli screening in tutte le Regioni e una loro radicale ristrutturazione, anche con l'acquisto di nuove apparecchiature e l'assunzione di personale".

(Unioneonline/v.l.)
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