"Non c'è niente di sbagliato in te che tu non possa curare con un po' di Prozac e una mazza da polo", diceva Woody Allen in "Misterioso omicidio a Manhattan", scherzando, ma non troppo, sull'eccessiva dimestichezza della gente con gli antidepressivi.

Battute a parte, uno dei simboli del male oscuro che chiamiamo depressione è proprio il farmaco Prozac, che proprio in questi giorni compie trent'anni e che dalla sua introduzione ha cambiato la storia della psichiatria e ha sdoganato il tabù del "mal di vivere".

Quel male da tenere nascosto o da non prendere troppo sul serio, che nel 1988 poté uscire allo scoperto ed essere curato con un farmaco. Se fino ad allora per chi soffriva di depressione c'era stata la paura di essere isolati o derisi, in seguito si passò all'eccesso opposto e una patologia seria rischiò di diventare un vezzo e una moda.

Quindi arrivò la crociata contro l'abuso di antidepressivi e contro le lobby farmaceutiche e allora vinse l'idea che per curare patologie come la depressione non bastassero le medicine e fu il boom della psicoterapia, che tra alti e bassi resiste tuttora, senza comunque aver soppiantato il ricorso alle pillole.

In un caso e nell'altro, medicine o terapia, il rischio è spesso quello di indagare le cause della depressione solo nel paziente che ne è affetto, trascurando le origini esterne che possono se non provocarla quantomeno influenzarla, quelle responsabilità sociali, cioè, che riguardano un po' tutti.

(Unioneonline/b.m.)
© Riproduzione riservata