Scuola, in classe con meno alunni
Il giovane ministro Azzolina a corto di idee sul futuro della scuolaNon c'è pace per il giovane ministro dell'Istruzione. Terminato l'anno scolastico, devastato dal coronavirus, e risolto alla bella e meglio il problema degli esami di stato, già incombono impietosi quelli del nuovo anno scolastico, anch'esso sotto la minaccia della pandemia, forse destinata a un progressivo indebolimento, ma c'è chi non esclude, favorita dall'arrivo dei primi freddi, la ripresa in grande della perniciosa infezione.
Nell'emergenza, abbiamo avuto la forza di affrontare le quarantene e i sacrifici imposti dal virus, l'isolamento e la solitudine, il distanziamento, l'inattività, in un primo momento quasi con leggerezza, ma poi con ansia crescente e impazienza, desiderosi di tornare alle consuete relazioni e cadenze di vita e di lavoro. Ma anche la ripartenza presenta i suoi problemi, diversamente gravi e variamente modulati a seconda dei settori di attività o degli ambiti in cui si svolge la vita economica e sociale e si snodano le particolari vicende dei singoli e delle famiglie. All'interno di questi problemi, è centrale la questione della scuola, con particolare riferimento all'assetto didattico e organizzativo che essa dovrà darsi all'inizio del nuovo anno scolastico, consci del fatto che la pandemia richiederà modalità diverse, sia da quelle tradizionali sia da quelle talvolta sperimentate durante l'epidemia con i tentativi più o meno riusciti di didattica a distanza.
Si discute sui requisiti di efficacia e di sicurezza del servizio, a tutela degli allievi e del personale. Occorrerà assicurare il distanziamento tra i soggetti e la disponibilità degli spazi, ridurre il numero degli alunni per classe, con conseguente incremento delle ore di docenza e degli organici del personale docente e non docente. Sui dirigenti scolastici vedranno accrescersi, oltre alle solite responsabilità amministrative e gesionali, quelle di natura organizzativa afferenti ai rapporti con le famiglie e col territorio e al coordinamento generale tecnico didattico. In altre parole, la scuola, da sempre in emergenza, almeno con riferimento ai risultati che la vedono collocata nelle zone basse delle classifiche, è destinata ad affrontare la nuova specifica emergenza che passerà alla storia come "quella del coronavirus".
Forse sarà bene mettere in un rapporto di continuità le due emergenze. Intendo dire che alcuni dei rimedi proposti per l'emergenza del presente coincidono con quelli che alcuni pedagogisti proponevano per le emergenze del passato, ancor prima della pandemia. Alludo alla diminuzione degli allievi per classe, che fin dagli ultimi decenni del secolo scorso, molti proponevano come condizione del miglioramento della qualità della scuola, complice il decremento demografico che anno dopo anno causava un corrispondente decremento della popolazione scolastica. Ciò avrebbe consentito, senza aumento di spese e senza assumere altro personale, di migliorare la qualità della didattica, favorendo l'individualizzazione e le personalizzazione dell'insegnamento e le attività di recupero e di sostegno degli allievi in difficoltà di apprendimento, e così offerto uno dei possibili rimedi al fenomeno antico e sempre attuale della dispersione scolastica. Fu scelto di risparmiare e non fu fatto nulla. Quella proposta antica, ma saggia, ovviamente, non si legge nel rapporto Colao, ma il giovane ministro, a corto di idee sul futuro della scuola, la potrà reperire, anzi ce l'ha di già, nel dossier del professor Bianchi da lei medesima incaricato di proporre soluzioni ai problemi del coronavirus. Un tempo l'idea c'era, mancarono i soldi. Ora questi ci sono e l'innovazione è possibile. Perché non tentare?
Gabriele Uras